Vittorio Messina (Zafferana Etnea, 1946), ha compiuto gli studi al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti di Roma. Alla sua formazione hanno contribuito in modo significativo gli studi alla facoltà di Architettura di Valle Giulia. Fin dagli esordi ha sviluppato un interesse per un linguaggio assai mobile e articolato. Tra il 1978 e il 1979, con “La Muraglia Cinese”, nello spazio romano di Sant’Agata dei Goti, Messina coniuga il tema dell’evento tellurico all’interno di uno spazio inteso come ‘habitat totale’.
Dall’inizio degli anni 80 il suo lavoro si concentra principalmente sul tema della “cella” intesa come nucleo formativo dell’habitat e della forma della città. Ma la ‘sua’ città si qualifica, con letteraria ironia, come ‘sentimentale’, e include una visionarietà catastrofica profondamente segnata da precarietà e ‘non-sens’, una dimensione, questa, che lo avvicina, per simpatia, alla scrittura di Joyce e Calvino. Le sue grandi installazioni, come “Confini d’Occidente” (Museo di Leeds, 1994), o “SDF o dei percorsi circolari” (National Galerie, Berlino, 1997), si configurano come cantieri in corso, immagine delle sterminate periferie metropolitane, dove la povertà della materia edilizia e dei modi costruttivi sono riflesso di una precaria condizione umana.
Tale modalità si sviluppa a partire dagli anni 90, nelle mostre al Kunstverein di Düsseldorf, alla Villa delle Rose, Bologna, fino alle grandi installazioni nei “Dialoghi” (Maschio Angioino e Castel dell’Ovo, Napoli, 2002). Nella grande mostra “Avillage and its surroundings” (Henry Moore Foundation Halifax 1999) alcune installazioni includono l’uso di film-video nella prospettiva del ‘tableau vivant’, della ‘segnalazione’ e del ‘controllo’. In “La discrezione del tempo 1”, (Museo Ujasdovki, Varsavia, 2002), e in “Una città visibile”(Chiesa di San Paolo, Modena, 2004), e poi ancora nelle “Cronografie, o della città verticale” alla Cavallerizza Reale di Torino (2006),, e in “Momentanea Mens” alla DKM Galerie (Duisburg 2009), lo spazio-tempo della visione dell’habitat umano tende ad espandersi ulteriormente, fino alla dilatazione estrema di “Hermes” (Insel Homboich, 1970/2009).