MACRO – Museo d'Arte Contemporanea Roma – presenta al pubblico le opere di due giovani artisti italiani, Beatrice Pediconi e Roberto De Paolis, che utilizzano il mezzo fotografico per indagare la natura fragile e precaria delle figure e dei soggetti catturati dai loro scatti, presenze che trovano una loro collocazione nello spazio solo nella misura in cui nello spazio si perdono formalmente.
Sedici stampe fotografiche di grande formato costituiscono il progetto No Trace, che già dal titolo evoca la natura fragile e instabile che lega le opere dei due artisti romani, la cui ricerca, seppure condotta individualmente, è accomunata da una riflessione simile sul tema del tempo e dello spazio, esplorati in rapporto ai corpi e alle presenze sfuggenti che li abitano. Due progetti già formati, autonomi e personali, capaci però di accordarsi a posteriori, integrandosi e rafforzandosi reciprocamente in un dialogo denso di domande e di risposte. Le presenze impalpabili della fotografia di Beatrice trovano corpo nei personaggi di Roberto; questi ultimi, apparentemente prigionieri di un incantesimo, sono toccati dalla vitalità delle figure vibranti di Beatrice. Le opere si guardano e si interrogano in un gioco speculare di rimandi ed echi.
Presentando la mostra No Trace, MACRO ribadisce il proprio interesse verso i giovani artisti romani, mantenendo così vivo il dialogo e il confronto tra le generazioni, la città e i nuovi linguaggi del contemporaneo. In questo caso, la fotografia diviene nuovamente protagonista degli spazi del Museo, confermandosi come espressione artistica centrale tra le discipline della contemporaneità.
L’elemento principale nella ricerca di Beatrice Pediconi è l’acqua. Le istintive “pitture” nell’acqua vengono catturate dal tempo fotografico in differenti momenti, per cogliere l’inconsapevole trasformazione della materia. Nella serie presentata al MACRO le sostanze utilizzate sono chine molto raffinate, che richiamano il microcosmo della nascita e la sua conseguente evoluzione. Le tracce filiformi, i segni indefiniti, le forme vaghe si disfano tra luci e ombre, rimandando alla rappresentazione di un moto vitale, di un mondo non concreto e permanente, ma illusorio, instabile e in continuo cambiamento. Nelle opere di Pediconi tutto è incerto e ambiguo: l’osservatore è immerso in un continuum di immagini che parlano del mondo e del tempo, della nascita e del movimento, del flusso e dell’evoluzione.
I soggetti delle fotografie di Roberto De Paolis sono sospesi tra realtà e dimensione onirica. Figure evanescenti ed eteree si delineano come apparizioni in luoghi neutri o all'interno di spazi privati, che raccontano solo indirettamente la storia e l’identità dei personaggi di cui recano traccia. In questo set costruito e studiato, spazio mentale più che fisico, il singolo individuo è moltiplicato come se fosse rappresentato in momenti temporali diversi ma simultanei, ad indicare la perdita di un'identità unitaria e la frammentazione delle diverse parti dell'io, capaci per un attimo di incontrarsi nello spazio ideale della fotografia. Elena, Lucilla, Jasmine, Dario, personaggi i cui nomi danno il titolo alle opere di De Paolis, sembrano sfiorare la superficie delle immagini, lasciandovi una traccia instabile, trasparente e mobile.
La fusione di De Paolis di diversi momenti temporali, ottenuta con la tecnica della lunga esposizione che porta allo sdoppiamento delle figure, e l’instabilità embrionale ed emotiva nell'opera di Pediconi, rimandano entrambe a un tentativo di superare la transitorietà e i limiti che sembra imporci il presente e il ricordo del passato, che rendono l'uomo prigioniero.