Il Grand Tour d’Italia di Google
Il progetto, promosso da Roma Capitale Assessorato Crescita Culturale e Assessorato Roma Semplice, è realizzato in collaborazione con il Comitato Giovani della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, Outdoor Project by nufactory, Fondazione Musei Civici di Venezia, Accademia dei Fisiocritici, Consorzio per la Tutela del Palio di Siena e Teatro Massimo di Palermo.
Presso Macro Testaccio
Padiglione 9b
Dopo l’anteprima nelle Biblioteche di Roma e nei Punti Roma Facile, Google porta a Roma il Grand Tour d’Italia, un viaggio tra alcuni dei tesori culturali, dei capolavori e delle tradizioni del nostro Paese che oggi rivivono online attraverso la tecnologia, sulla piattaforma Google Arts & Culture o visitando g.co/grandtour. Dopo Venezia, Siena, e Palermo a Roma questo viaggio diventa anche un’esperienza reale. Lo spazio allestito a Macro Testaccio si animerà di installazioni e di tecnologia, aprendo le porte gratuitamente al pubblico per scoprire come queste storie affascinanti prendono vita, celebrando i tesori della città, e molto altro.
Talent Prize
Mostra della X edizione del Talent Prize, il premio di Arti Visive promosso dalla rivista Inside Art rivolto ai giovani artisti.
Presso Project Room #1 e #2, Studio #1 e #2
Il concorso, patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri, da Roma Capitale e sostenuto, sin dalle prime edizioni, dalla Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, anche quest’anno presenta al pubblico le opere del vincitore, dei finalisti e dei premi speciali del 2017. La mostra del decennale sarà arricchita dalla presenza dei lavori che hanno vinto il premio nelle edizioni precedenti, dal 2008 a oggi: una retrospettiva per raccontare la storia del Talent Prize nella scena contemporanea nazionale, che lo ha accreditato come un autorevole certificatore di talento.
La giuria, composta dai membri storici del premio e da nuovi direttori e curatori provenienti dalle più importanti istituzioni di arte contemporanea, ha nominato vincitore 2017 Davide Monaldi con la sua opera intitolata “Carta da parati”. Un trompe l’oeil attraverso il quale l’artista conferisce tridimensionalità a un elemento bidimensionale, esplorando le potenzialità di un materiale appartenente alla tradizione. La ricerca dell’artista ruota, infatti, attorno alla trasposizione scultorea di oggetti del quotidiano, indagando con ironia l’impiego della ceramica nell’arte contemporanea.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
LA MOSTRA
In esposizione, oltre al vincitore Davide Monaldi, ci sono i nove finalisti, rappresentanti dei diversi linguaggi delle arti visive: tra le installazioni Davide Allieri con “Billdor”, Marco Strappato con “Untitled (Ground)”, Jacopo Rinaldi con “Circuito chiuso. Estratti da Harald Szeemann nel suo archivio”, e Luca Resta con “Superposition”.
Per la sezione scultura Simona Andrioletti, con l’opera “Belvedere”. Mentre per la categoria fotografia Cosimo Veneziano, con “The Monument in the age of Berlusconi”, e Alberto Sinigaglia con “Cloud#Teapot”. Per i video ci sono Simone Cametti, con l’opera “Tina”, e il tedesco Patrik Thomas con “Hotel Desterro”.
Insieme al vincitore e ai finalisti, la mostra presenta anche i vincitori dei Premi Speciali, assegnati dagli sponsor del Premio. Primo fra tutti la Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, che ha scelto Andreco con il lavoro “Between Nations”.
Il premio speciale UTOPIA, società italiana leader nei servizi integrati di Relazioni istituzionali, Comunicazione, Affari legali & Lobbying, è stato assegnato al collettivo IOCOSE con l’opera “Drone Memorial”.
Mentre la scelta di SpazioCima, vivace realtà romana che ospita mostre ed eventi legati alla cultura contemporanea, è ricaduta su Diego Miguel Mirabella con l’opera “Quello che non ti fa dormire la notte”.
Infine, l’editore di Inside Art, Guido Talarico, ha assegnato il Premio Inside Art a Fabrizio Bellomo per la serie di ritratti “Untitled”.
Ospiti nello studio #2 i lavori dei vincitori del Talent Prize dal 2008 al 2016. Si tratta di artisti che in questi anni hanno sviluppato la loro ricerca distinguendosi nel panorama nazionale e internazionale. A cominciare da Ra di Martino con la fotografia “Untitled (Marilyn)” del 2008, per poi continuare, in ordine cronologico con David Casini e la sua scultura “Genera, Giovanni Ozzola con Superficiale – Under my skin”, Giulio Delvé con “Black dog”. E ancora Yuri Ancarani e “La Malattia del ferro”, Danilo Correalecon “The visible hand – The future in Their hands”, 2011-2012. Fino ad arrivare a lavori più recenti come “2Estate” di Gian Maria Tosatti, “Dominium Melancholiae” di Antonio Fiorentino e “Sparkling Matter” di Matteo Nasini.
LA GIURIA
A partecipare alla selezione la giuria storica composta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente dell’omonima Fondazione; Ludovico Pratesi, curatore e critico d’arte; Federica Pirani, storica dell’arte e responsabile della programmazione mostre della Sovrintendenza Capitolina; Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione Ermanno Casoli e della Fondazione Pastificio Cerere; Anna d’Amelio Carbone, direttrice della Fondazione Memmo Arte Contemporanea; Rocco Guglielmo, direttore artistico del Museo Marca di Catanzaro; Guido Talarico, direttore ed editore di Inside Art. Si sono uniti quest’anno anche sette nuovi giurati: Peter Benson Miller, direttore artistico dell’American Academy in Rome; Joachim Blüher, direttore dell’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo; Fabio Cavallucci, direttore del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato; Giovanni Giuliani, presidente Fondazione Giuliani per l’arte contemporanea Roma; Gianluca Marziani, direttore Artistico Palazzo Collicola Arti Visive Spoleto; Charlotte Morel, direttrice delle Arti Visive nella città di Lille; Chiara Parisi, curatrice mostre d’arte contemporanea a Villa Medici; Roberta Tenconi, curatrice Pirelli HangarBicocca Milano.
Al Talent Prize 2017 è anche stato dedicato uno speciale sul magazine Inside Art in uscita a dicembre con un approfondimento sui vincitori, finalisti e premi speciali della presente edizione.
Rui Chafes – Rumor
Presso Vano Ascensore Ala Storica
Esposta la nuova installazione site-specific “Rumor” realizzata dall’artista portoghese Rui Chafes (Lisbona, 1966). La grande scultura in ferro, donata dall’artista al MACRO su iniziativa della società di arte contemporanea Studio Arte 15, entra così a far parte della collezione museale, impreziosendo la chiostrina dell’ascensore e mostrandosi ai visitatori già dallo spazio esterno della galleria vetrata.
Il progetto di allestimento è a cura dello studio di architettura Romolo Ottaviani.
La scultura Rumor consiste in due elementi verticali di quasi cinque metri, che si collocano in modo sintonico nello spazio del vano ascensore sfruttandone pienamente la geometria verticale, la corposità delle superfici in cemento e la luce naturale proveniente dall’alto.
L’opera, realizzata in ferro e sigillata con vernice nera, s’impone con la semplicità della sua forma come presenza attiva, dotata di una spiritualità munita da una forza superiore. L’essere umano è solito assistere a dei fenomeni indescrivibili e per questo incomprensibili, che possono essere interpretati come un’energia sovrastante: le opere di Rui Chafes, modellandosi con lo spazio che le circonda, interagiscono con esso mostrandosi come affascinanti apparizioni, trasmettendo l’essenza di un segreto. La natura, quale principale fonte d’ispirazione, è da lui interpretata attraverso forme austere, geometriche, organiche e a volte esili, penetrando nel luogo che le accoglie e fondendosi a esso in un continuo rimando poetico sospeso tra la vita e la morte, tra l’angoscia e la voglia di vivere. Questa visione romantica della natura, con la quale trascende oltre le barriere dell’infinito e che lo conduce oltre lo spazio, il tempo, il dolore, la transitorietà dell’esistenza umana, è interpretata da bellissime sculture che vivono attraverso una forte spiritualità e l’intima relazione che s’instaura con lo spettatore, portatore a sua volta di energia e poeticità.
Nota biografica
Nato nel 1966 a Lisbona – Portogallo, dove vive e lavora. Nel 1989 si è laureato in Scultura presso la Facoltà Belle Arti dell’Università di Lisbona. Dal 1990 al 1992 ha studiato con Gerhard Merz nella Kunstakademie Dusseldorf, in Germania. Durante i suoi studi ha tradotto dal tedesco al portoghese i Frammenti di Novalis. Espone regolarmente dagli anni Ottanta, consolidando la sua carriera con diverse mostre in Portogallo e all’estero. Rappresentante portoghese nella Biennale di Venezia (1995 insieme a José Pedro Croft e Pedro Cabrita Reis e alla Biennale di San Paolo 2004 con un progetto insieme a Vera Mantero).
Tra le esposizioni personali istituzionali più importanti in Portogallo si segnala il Museo Serralves, il Centro di Arte Moderna – Fundação Calouste Gulbenkian e il Museo Colecção Berardo. All’estero si segnalano importanti esposizioni istituzionali come: S.M.A.K. (Gent, Belgio); Folkwang Museum (Essen, Germania); Nikolaj Copenhagen Contemporary Art Center; Fondazione Volume! (Roma, Italia); Fondazione Eva Klabin (Rio de Janeiro, Brasile), e Hara Museum, con Pedro Costa (Tokio, Giappone). Le sue opere sono presenti in numerosi collezioni pubbliche come: S.M.A.K. (Gent, Belgio); Folkwang Museum Essen (Germania); Museum voor Moderne Kunst (Olanda); Esbjerg Kunstmuseum (Danimarca); Museum Würth (Germania); Fundação Calouste Gulbenkian (Lisbona); Museu de Serralves (Porto); Museu do Chiado (Lisbona); Ellipse Foundation (Portogallo); Fundação Luso-Americana para o Desenvolvimento (Portogallo); Caixa Geral de Depósitos (Lisbona), Centro Gallego de Arte Contemporaneo (Santiago de Compostela, Spagna) e Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia (Madrid, Spagna). Molte sue sculture sono esposte pubblicamente in spazi pubblici in Portogallo e nel resto del mondo. Nel 2004 ha ricevuto il Prémio di Scultura Robert-Jacobsen da Würth Foundation, Germania. Nel 2015 ha ricevuto il prestigioso Premio Pessoa, a Lisbona. Parte della sua attività è dedicata alla scrittura, alle traduzioni e alle edizioni di monografie che accompagnano il suo lavoro di scultore.
L’iniziativa è parte del programma di Contemporaneamente Roma 2017 promosso da Roma Capitale Assessorato alla Crescita culturale.
Io sono qui!
Prodotta da M’AMA ART, da un’idea di Alessia Montani, a cura di Lorenzo Bruni.
La mostra, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, si articola in una sezione dedicata alle installazioni di sette artisti: Mario Airò, Ulla von Brandenburg, Donna Huanca, Runo Lagomarsino, Ahmet Ögüt, Antonis Pittas e Patrick Tuttofuoco; e una sezione di opere realizzate da quattordici artisti: Maria Thereza Alves, Paolo Parisi, Kamen Stoyanov, Marco Raparelli, Matteo Negri, Giuliana Cunéaz, Yorgos Stamkopoulos, Giulio Rigoni, Chicco Margaroli, Paola Romano, Vincenzo Marsiglia, Camilla Ancilotto, Marianna Masciolini, Savini & Vainio.
“Io sono qui!” indaga il tema della comunicazione, attraverso le infrastrutture materiali e immateriali: “io e il mondo” nella realtà digitale. La banda larga, che permette di trasmettere una grande quantità di dati in tempi rapidi, diventa fattore essenziale di crescita economica, culturale e sociale. L’innovazione tecnologica delle infrastrutture materiali cosi come le informazioni e i dati trasmessi attraverso la banda larga migliorano l’efficienza operativa delle imprese e di tutti i settori della nostra società: Sicurezza, Sanità, Giustizia, sistema Finanziario, Pubbliche Amministrazioni che, con la digitalizzazione dei servizi, rendono sempre più efficiente il sistema a beneficio della collettività.
La mostra pone l’accento anche sulla necessità attuale di avere coscienza del luogo da cui il soggetto dialoga con il mondo più che perdersi in esso, cercando di affermare soltanto la sua esistenza a colpi di “post”. Le sette installazioni, poste a introduzione del progetto, ricordano immediatamente allo spettatore che il suo grande potere di essere ovunque grazie alle “App” dello smartphone non può essere dissociato dalla presa di coscienza dei contesti fisici e contestuali in cui agisce. Tutto questo cerca di far riflettere su cosa stia alla base del cambiamento attuale che ha portato a identificare recentemente nella piramide dei bisogni dell’essere umano delle nuove priorità. Mentre storicamente al primo posto era riconosciuta la ricerca di cibo, oggi al secondo posto esiste ed è comparsa – dopo ampie campagne d’indagine – la connessione wireless. Quello che sorprende di più però è che al primo posto si trovi la necessità del carica batteria.
Gli artisti
Le opere esposte nella mostra “Io sono qui!” fanno riflettere sull’importanza della comunicazione materiale e digitale con un’attenzione rivolta al luogo fisico da cui è affrontata tale fruizione e sul possibile movente che va al di là del semplice “voyeurismo conoscitivo”. Questa è la caratteristica principale dei vari processi creativi esposti in mostra, che ha portato alla scelta del titolo “Io sono qui!”. Suddetta affermazione corrisponde alla presa di coscienza che l’osservatore deve operare sulla sua responsabilità nell’interagire con le informazioni per non rimanere vittima dell’ipotetico “sistema”, che esso stesso contribuisce ad alimentare. La mostra si articola in una sezione di istallazioni, introdotta dall’opera dell’artista di origine greca Antonis Pittas, che presenta due grandi mani in gomma poggiate sull’ingrandimento dell’ultimo modello dell’Iphone. Queste presenze ricordano che le mani sull’Iphone sono strumenti vuoti se non sono alimentati dal singolo soggetto con coscienza, aprendo una particolare riflessione sul tema dell’identità al tempo delle “fake news” e della impossibilità di storicizzare i fatti nell’attuale “presente espanso”. Tale prospettiva è esplorata anche dalle tre installazioni di Patrick Tuttofuoco che creano un vis-à-vis straniante tra ritratti in ceramica di volti dell’antichità romana e le immagini gassose stampate su PVC dei protagonisti di maggior rilievo del mondo dell’hi-tech; ma anche da Donna Huanca, la quale risponde a tutto ciò con nuove ritualità contemporanee evocate per mezzo di manichini/strumenti o di corpi/simulacri al centro di un lago di sabbia bianca. Allo stesso tempo, altre opere come quella di Mario Airò – una linea di orizzonte formata da fotografie di paesaggi attraversati e caratterizzati da proiezioni al laser – riflettono sul rapporto tra paesaggio mentale e fisico, tra spazio attraversato e progettato. Lo stesso approccio ha portato Ulla Von Brandeburg a presentare la sua nuova video installazione sul tema del superamento del limite intimo-collettivo rappresentato da una tenda sipario, che continua a svanire e a ripresentarsi in un loop infinito. Inoltre, se Ahmet Ögüt mette in evidenza le strategie contemporanee per indagare il tema dell’appartenenza con la video installazione legata al movimento di protesta pacifica Occupy Wall Street, nato nel 2011, Runo Lagomarsino analizza l’eredità del colonialismo e delle politiche culturali legate alla creazione di nuovi paradisi e vecchi poteri per mezzo della dia-proiezione presentata nella edizione del 2015 della Biennale di Venezia. La seconda sezione vede, invece, artisti di differenti generazioni confrontarsi con il tema dell’oggetto d’arte e su cosa può trasformare uno strumento di conoscenza e comunicazione in un’opera d’arte, come le opere di Rebecca Moccia, Matteo Negri, Yorgos Stamkopoulos. Citiamo poi il cubo nero che contiene cellulari con lo schermo occultato da pittura nera e aghi di pino di Chicco Margaroli, con cui ricorda che il vero divario tecnico nasce storicamente da chi poteva accedere alla luce elettrica, mentre le stampe di Paolo Parisi fanno riflettere su come il processo di riproduzione dei libri sia stata la grande rivoluzione della società dal 1700 in poi, creando una nuova particolare interrelazione tra testo e immagine. O ancora le opere di Giulio Rigoni ci portano a pensare al significato di comunità e a quello di città ideale; la maestosa opera di Paola Romano ci fa riflettere, in generale, sulle condizioni del nostro pianeta, cosi come la wunderkammer di Giuliana Cunéaz che mette in relazione la realtà virtuale (videoinstallazione in 3D) con quella fisica (sculture in miniatura modellate in argilla bianca dal tono madreperlaceo) attraverso un dialogo sinergico teso a indagare il cuore profondo e misterioso della materia. Il lavoro di Vincenzo Marsiglia, invece, crea un dispositivo ipnotico – specchi, griglie geometriche e un Ipad – con cui induce a ragionare sulla tradizione della pittura cinetica e sul nuovo modo di pensare alla finestra digitale. Savini & Vanio ci porta a soffermarci sul rapporto tra individuo e globalizzazione. Maria Thereza Alves, utilizzando la storia delle piante autoctone di Roma, fa riflettere sul concetto di estraneo da punti di vista differenti. Le influenze di internet sono indagate dal video di Kamen Stoyanov che esplora le differenze e similitudini di percezione del viaggio al tempo di Google Maps. Le poliedriche combinazioni dell’opera di Camilla Ancilotto invitano lo spettatore a un’interazione creativa. Il concetto di reti immateriali e materiali è rappresentato attraverso una inedita struttura fisica di acciaio e resina di Marianna Masciolini, che permette allo spettatore di attraversarla fisicamente, passando e connettendo proprio le due sezioni della mostra dal titolo “Io sono qui!”.
Libro-catalogo
Il progetto prevede la realizzazione di un libro-catalogo con i contributi dei relatori del convegno-tavola rotonda. Naturalmente l’arte avrà un peso particolarmente significativo in quanto all’interno del volume saranno utilizzate le immagini delle opere degli artisti presenti.
M’AMA.ART
Il format ormai consolidato di M’AMA.ART è quello di proporre mostre di arte contemporanea per coinvolgere l’opinione pubblica sui diritti di ultima generazione, come il diritto alle energie rinnovabili; il diritto alla sicurezza alimentare; il diritto al dialogo interculturale. Con quest’obiettivo l’avv. Alessia Montani, fondatrice di M’AMA.ART, ha promosso nel passato mostre come: “Trasparenze. L’arte per le energie rinnovabili”, ospitata dal Museo MACRO di Roma e dal Museo MADRE di Napoli, sul tema della tutela ambientale. “M.eating”, sul diritto al cibo, presentata durante la Biennale di Istanbul (Museo Chamane) e successivamente alla biennale di Dakar; nonché “Red Dangerous” realizzata presso “Casa delle Letterature” di Roma, sul rapporto tra individuo e società.
Extended Blue. Mixed Media Installation
Presso il Foyer 2
Progetto d’arte e comunicazione curato da Massimo Scaringella, e promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Hafnia Fundation (Xiamen), Le Dame Art Gallery (Londra), e BrainArt (Roma).
Nell’installazione realizzata dai due artisti Mariano Filippetta e Gianfranco Valleriani, pittura, video, suono, testi, tecnologia e presenza umana, si amalgamano nel colore blu, alla ricerca di nuovi linguaggi visivi, ibridi e contaminati, capaci di raccontare con determinazione ed emozione i temi della contemporaneità, siano essi presi dall’attualità piuttosto che dall’arte e della poesia.
Prendendo spunto dalla ricorrenza dell’anniversario della firma del manifesto del “Nuovo Realismo”, da parte di Yves Klein, i due artisti colgono l’occasione per intrecciare i percorsi della propria ricerca espressiva.
Nella performance pittorica di Mariano Filippetta, tutte le opere sono il risultato dello sciogliersi del ghiaccio e del pigmento sulla tela. Macchie, segni veloci e prepotenze cromatiche nell’esaltazione del blu, si contengono nella definizione dello spazio, della natura e della poesia nell’inquieta ricerca delle soluzioni formali dell’opera.
Contemporaneamente, il lavoro video di Gianfranco Valleriani, da anni impegnato nella ricerca visiva come comunicazione, esalta, confermandolo, il racconto narrativo, in cui i limiti non sono definitivi e dove le possibili articolazioni sono in grado di generare incontri plurali e sinergie create dal confronto di punti di vista: essere sotto o sopra la superficie del mare, abbattendo la dimensione del tempo e dello spazio con un’interpretazione soggettiva ed emotiva della realtà.
Le elaborazioni elettro-acustiche sono di Stefano Acunzo, la documentazione visiva di Luisa Grisanti. Allestimento di Francesca Bertuglia.
Note biografiche
Mariano Filippetta (Frosinone, 1964) vive e lavora a Roma. Le sue esperienze artistiche iniziali confluiscono nella prima personale di rilievo alla Galleria dei Banchi Nuovi di Roma nel 1989 dal titolo Primo Vere. Nel 1992 è invitato da Achille Bonito Oliva a Imprimatur mostra di artisti internazionali inediti a Milano. Lavora in quegli stessi anni a Roma con la galleria L’Attico di Fabio Sargentini e con la Galleria Marchetti. Nel 2013 continua il suo percorso con la galleria Dirartecontemporanea2.0 di Caserta. È tra i primi artisti a lavorare al museo MAAM di Roma con il curatore Giorgio De Finis. Èinvitato da Vittorio Sgarbi alla 54° edizione della Biennale di Venezia. Nel 2015 è invitato al progetto “Intervento collettivo MAAM” presso la Fondazione Pistoletto Città dell’Arte di Biella. La sua opera è documentata negli archivi del MAXXI e della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma all’interno della raccolta Artisti di fine millennio.
Gianfranco Valleriani (Montorio al Vomano, 1959) vive e lavora a Roma. Giornalista ed esperto di comunicazione, ha fondato e diretto la società Calamo Comunicazione, ideando e realizzando campagne creative a livello internazionale. È stato direttore di riviste sui linguaggi audio-visivi, tra cui FilmakersMagazine. È stato docente di comunicazione e visual art all’Istituto Europeo di Comunicazione, all’Università di Siena, in attività formative europee. È stato relatore alla Tate Modern di Londra sul tema “L’arte e la trasformazione del sociale” (2015) nell’ambito di un seminario internazionale. Fondatore del video-blog www.brainart.it, progetto collettivo di ricerca tra “arte e comunicazione”, collabora attualmente con la fondazione di arte cinese “Hafnia Foundation”. Ha realizzato il video documentario “After Nothing, the Colors and the Life of Stevens Vaughn”, girato in Cina, in cui sperimenta nuove forme di narrazione visiva (2017). Dal 2017 collabora con ArtRooms Fair di Londra.
REACTION ROMA (II edizione)
Seconda edizione di Reaction Roma, la video installazione che descrive la città attraverso gli occhi di chi la vive e la attraversa, con la direzione creativa di Pietro Jona direttore artistico di Humans Artis. Reaction Roma è un racconto collettivo realizzato dalla gente comune, un progetto aperto a tutti che utilizza il linguaggio contemporaneo del social movie per raccontare la realtà urbana attraverso i suoni e le immagini catturate – con smartphone, tablet, microcamera e macchina fotografica – da chi la vive e la attraversa quotidianamente.
Reaction Roma è un’opera d’arte collettiva di cui il pubblico è fruitore e autore al tempo stesso; è un contenitore d’immagini, girate dalla gente comune e poi montate da un regista, in cui un ruolo fondamentale hanno le nuove tecnologie. Queste immagini diventano strumento d’investigazione sociale e base per la creazione di un Archivio audiovisivo che, alimentato continuamente dai video dei cittadini, può diventare una testimonianza dello stato emotivo della città che muta nel tempo.
Quest’anno, grazie alle immagini dell’Archivio Storico dell’Istituto Luce-Cinecittà, un’area della mostra è dedicata alla Roma del secolo scorso creando un collegamento, fortemente evocativo, con le immagini della città contemporanea fotografata dagli abitanti di oggi.
I video caricati entro il 10 dicembre sul sito di Reaction Roma, rielaborati dal regista, sono esposti in una videoistallazione aperta al pubblico presso gli spazi di MACRO Testaccio – La Pelanda.
La seconda edizione di Reaction Roma è realizzata con il contributo della Regione Lazio – Assessorato alla Cultura e alle Politiche Giovanili, nell’ambito del bando Cinepromozione 2017, e di Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, nell’ambito del bando Contemporaneamente Roma 2017, con il sostegno della Siae.
Humans Artis ha inoltre istituito il Premio Reaction Roma per il miglior contributo video originale, che sarà premiato con un fine settimana per due persone a Madrid e il Premio Reaction Esquilino messo in palio da Mercato Centrale Roma, che consiste nel coinvolgimento del vincitore alla produzione di un video professionale per Mercato Centrale, produttore attivo di contenuti culturali e sociali sul territorio.
Collaborano alla realizzazione del progetto anche il Dipartimento di Scienze delle Comunicazioni dell’Università “La Sapienza” di Roma e il Cine TV Rossellini.
Dias & Riedweg. Other time than here. Other place than now
Presso il MACRO Testaccio
Padiglione 9A
Other time than here. Other place than now (Un altro luogo che ora. Un altro tempo che qui), la prima grande esposizione del lavoro del duo artistico Dias & Riedweg in Italia.
La mostra, che riunisce numerose video installazioni, fotografie e oggetti dal 2004 a oggi, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e realizzata in collaborazione con l’Auditorium Parco della Musica – dove è esposta in parallelo, presso AuditoriumArte, la video installazione sonora a tre canali Funk Staden, commissionata agli artisti dalla Documenta 12 nel 2007 – con il sostegno di Pro Helvetia, fondazione svizzera per la cultura.
Other time than here. Other place than now raccoglie lavori che toccano in maniera filosofica i temi cruciali dell’immigrazione e dei cambiamenti politici e sociali del nostro tempo, a partire dall’idea che il semplice spostamento di oggetti e persone nello spazio e nel tempo sia anche uno spostamento di significati. La serie di video oggetti “Suitcases for Marcel” (2007) e la video installazione “Moving Truck” (2009-2012) sottolineano in maniera diretta l’idea centrale della mostra, cioè della migrazione come dis-locamento di significato, mentre altri lavori come il video “Throw” (2004), la video installazione e la serie di fotografie “Hot Coals” (2014), gli oggetti a parete “Under Pressure” (2014), la carta da parati “Bloc” (2014) e la video installazione “Flesh” (2005) che conclude il percorso espositivo, esprimono una critica tagliente e ironica verso le attuali politiche globali. Al centro di questi lavori si trova la nuova videoinstallazione “La casa degli altri”, realizzata a Roma durante il recente soggiorno romano degli artisti, con la partecipazione di coloro che gli artisti hanno conosciuto e incontrato “sul terreno”, nei loro diversi viaggi nelle periferie della capitale.
Note biografiche
Mauricio Dias e Walter Riedweg lavorano insieme come duo artistico Dias & Riedweg dal 1993, unendo arti visive e performance in progetti artistici collaborativi e interdisciplinari. Sostenuti da prestigiosi premi e sovvenzioni internazionali, Dias & Riedweg hanno realizzato numerosi progetti artistici e mostre su scala mondiale. Il loro lavoro è stato esposto nelle grandi mostre internazionali come la Biennale di Venezia, la Biennale di San Paolo e la Documenta di Kassel, ed è entrato a far parte di importanti collezioni come il Centre Georges Pompidou, Parigi, Kunstmuseum di Lucerna, Migros Museum di Zurigo, MACBA a Barcellona, KIASMA a Helsinki, MAR di Rio de Janeiro e il Museo MOCA a Los Angeles.
Marco Paoli – Ethiopia
La mostra del fotografo fiorentino Marco Paoli rende omaggio alla bellezza di una delle nazioni africane più ricche di cultura per l’unicità della sua storia e della sua architettura, la molteplicità delle sue lingue, delle sue etnie e religioni.
L’Etiopia è la culla dell’umanità per eccellenza in cui è vissuta la nostra comune antenata ‘Lucy’ e culla del Cristianesimo autoctono africano di diretta derivazione apostolica.
I temi esplicitati dalle foto sono quindi la bellezza, ma anche la resilienza della popolazione extraurbana che vive in condizioni di pura sussistenza praticando l’agricoltura e l’allevamento con tecniche tradizionali, succube delle contingenze climatiche eppure convivente in pacifiche comunità, in villaggi in cui l’organizzazione e l’incontro sociale trova il suo spazio di elezione nei mercati o sotto i maestosi sicomori, luogo di riunione degli anziani e dei consigli delle comunità.
Altro tema è quello della convivenza nella differenza, evidenziato dai grandi eventi a tematica religiosa come il Timkat cristiano ortodosso a Lalibela ed il pellegrinaggio musulmano a Scheik Hussein al quale l’Autore ha partecipato, accolto con amicizia e grande ospitalità da entrambe le comunità che gli hanno permesso con orgoglio di fotografare i luoghi e i momenti più intimi delle celebrazioni.
Tutti i proventi della vendita del libro sono devoluti a ‘Busajo onlus’, Associazione italiana riconosciuta dal Governo etiope che opera in Etiopia a Soddo, nella regione Wolaita, con l’obiettivo di dare accesso all’istruzione ai bambini e alle bambine di strada.
La mostra è stata già presentata a New York presso il ‘Palazzo di Vetro’, sede dell’Onu, nel novembre 2015.
Alessandro Verdi – Sulla pelle della pittura
Foyer 2, Teatro Studio 2
Quinta tappa del progetto From La Biennale di Venezia & OPEN to MACRO. International Perspectives, ideato e curato da Paolo De Grandis e Claudio Crescentini, dedicato alla presentazione presso gli spazi del MACRO di alcune installazioni internazionali provenienti dall’Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia e da OPEN – Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni.
Il progetto vede convergere insieme le “prospettive” d’arte di due città che lavorano per far viaggiare le esperienze dell’arte internazionale sul territorio nazionale. Dalla città lagunare appunto alla Capitale: due città legate da una tradizione storico-artistica imponente che sono riuscite ad arricchire ulteriormente questo bagaglio per dare voce e vita all’arte contemporanea e far emergere e valorizzare questa risorsa, ricorrendo ad azioni di documentazione dell’esistente, di promozioni di iniziative ma anche di connessioni internazionali. Ricerca avviata da Paolo De Grandis già nel 1995 con l’ideazione dei padiglioni esterni alla Biennale di Venezia e la presentazione di nuovi paesi.
Alessandro Verdi presenta un ciclo di lavori che prende le mosse dalla mostra realizzata alla Biennale di Venezia nel 2009 e curata da Achille Bonito Oliva.
Alessandro Verdi ha progettato un percorso lungo le sale de La Pelanda che si snoda attraverso installazioni che dialogano con l’architettura dello spazio. Le opere sono tutte di grandi dimensioni, alcune in moduli di 250×180 cm. costituite da pannelli di legno su cui l’artista interviene direttamente con la grafite, oppure grandi carte ad acrilico stese sul pavimento (in mostra una di 10 metri), o intarsiate da migliaia di piccoli pezzi di carta come a formare una pelle mobile e duttile su cui poi interviene con piccoli segni minimali (ambiente di 350x300x300 cm).
Come scrive Achille Bonito Oliva nel testo in catalogo (Edizioni Fondazione Mudima): “Alessandro Verdi, seppur combatte con la materia, non la punisce fino al punto di annullarla, ma cerca di contenerne la brutale presenza mediante la costruzione di una pelle che ne asseconda la plasticità e ne leviga le asperità. Qui l’artista lavora sulla pelle della pittura, segnalando ed accostando materiali diversi tra loro che portano a sviluppare lo sguardo tattile dell’osservatore. Così lo sguardo sviluppa un’attenzione più capillare verso le asperità della superficie e si spinge fino a saggiare con la mano la densità delle miriadi di particelle accostate e condensate tra loro in un sistema formale altamente narrativo”.
Il lavoro di Verdi si configura qui come un grande schermo dove risuonano fantasmi collettivi e desideri individuali, estasi e caduta. Le opere mostrano piccole cellule che fluttuano e si relazionano nel vuoto, come negli Ukiyo-e giapponesi. La complessità dell’uomo contemporaneo, il senso profondo del suo agire e del suo essere nel mondo e lo spirito del vago sono i temi attorno a cui si svolge la sua pittura e questo nuovo percorso espositivo.
POETRY – Adonis e Marco Nereo Rotelli
Sesta tappa del progetto From La Biennale di Venezia & OPEN to MACRO. International Perspectives, ideato e curato da Paolo De Grandis e Claudio Crescentini, dedicato alla presentazione presso gli spazi del MACRO di alcune installazioni internazionali provenienti dall’Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia e da OPEN – Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni, piattaforma artistica collegata alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, nell’intento di ampliare ulteriormente la selezione d’installazioni, con maggior respiro internazionale.
Teatro Studio 1 e Meeting room
Il progetto vede convergere insieme le “prospettive” d’arte di due città che lavorano per far viaggiare le esperienze dell’arte internazionale sul territorio nazionale. Dalla città lagunare, appunto, alla Capitale. Due città legate da una tradizione storico-artistica imponente che sono riuscite ad arricchire ulteriormente questo bagaglio per dare voce e vita all’arte contemporanea e far emergere e valorizzare questa risorsa, ricorrendo ad azioni di documentazione dell’esistente, di promozioni di iniziative ma anche di connessioni internazionali. Ricerca avviata da Paolo De Grandis già nel 1995 con l’ideazione dei padiglioni esterni alla Biennale di Venezia e la presentazione di nuovi paesi.
In occasione di questo nuovo appuntamento, Marco Nereo Rotelli presenta POETRY in collaborazione con Art Project, Accademia di Belle Arti di Roma e Conservatorio Santa Cecilia di Roma, una sintesi delle sue installazioni realizzate per la 49° e la 53° Biennale di Venezia, unendole però ad una nuova e inedita proposta installativa realizzata con il grande poeta d’origine siriana Adonis.
Per quanto riguarda la “memoria” de La Biennale, Rotelli presenta a Roma le Porte poetiche del suo Bunker poetico, fortemente voluto e inserito da Harald Szeemann nella 49° Biennale da lui diretta, Platea dell’Umanità. Raccogliendo oggetti in disuso che la nostra cultura mette ai margini, Rotelli all’epoca intervenne modificando la loro stessa superficie, attraverso l’applicazione di scritte, la scomposizione e la loro ricomposizione, tanto daformare un percorso drammatico e poetico che Szeemann definì “un ampliamento del contesto artistico”, riproposto ora negli spazi post-industriali de La Pelanda del MACRO Testaccio.
Sarà anche esposta l’opera Processi, una serie di acciai dedicata ai processi contro Pier Paolo Pasolini, che furono installati, sempre per la Biennale di Szeemann, sul reale bunker tra l’arsenale militare e la Biennale.
In esposizione anche Manifesti poetici, un’installazione urbana realizzata, sempre in sintonia con La Biennale ma anche con il Museo di Gibellina, a seguito dell’attentato di New York dell’11 settembre 2001. Sarà inoltre riallestita Save the Poetry, opera composta da grandi acciai lavorati a laser che riportano gli alfabeti del mondo. La parola, quella poetica prima di tutto, come filo rosso della presenza di Rotelli al MACRO.
Un’intera area de La Pelanda sarà invece dedicata ai Collages di Adonis, il grande poeta d’origine siriana che partecipò a La Biennale del 2009 intervenendo in un happening artistico tra calligrafia e, appunto, collage. Del resto, Adonis ritiene la pittura un’espressione diretta della sua stessa interiorità e la sua ricerca compositiva pone interrogativi proprio sul rapporto fra immagine e scrittura. Durante l’inaugurazione Rotelli e Adonis, con la collaborazione del poeta Yang Lian, realizzeranno anche un’azione artistica, intervenendo su grandi fogli di carta riciclata, dal titolo Il sapere della carta / Il sapere della voce.
Durante l’inaugurazione del 12 aprile al MACRO sarà presentata un’installazione luminosa aperta a molte interazioni. Il lavoro di Rotelli sulla e con la luce è stato più volte presentato nelle Biennali di Venezia con installazioni nel 2005 all’Isola di San Secondo, nel 2011 a Palazzo Ducale, fino alla grande opera sempre nel 2011, per la Mostra del Cinema, commissionata dalla Biennale stessa. L’area esterna dell’ex-Mattatoio, fra il MACRO e l’Accademia di Belle Arti, verrà illuminata, infatti, con la cifra stilistica di Rotelli e con proiezioni dei versi di Adonis e Yang Lian. Lo spazio verrà trasformato in una vera e propria pagina di poesia sulla quale interverranno gli stessi poeti in una performance di scrittura e reading: una trasposizione della parola, declamata in siriano e cinese, proiettata, per la realizzazione di un’opera complessa, multidisciplinare e mediale, di alta intensità poetica.
Grazie al contributo del Conservatorio “S. Cecilia” di Roma, diretto dal M° Roberto Giuliani, e del suo Dipartimento di Musica elettronica, diretto dal M° Michelangelo Lupone, l’installazione propone una nuova dimensione musicale creata sulla voce del poeta Adonis, anche attraverso la rielaborazione delle sue parole in live electronics. Il testo poetico sarà dunque un pretesto per suscitare udito e suono in due forme sovrapposte: quella naturale con la voce di Adonis e quella elettronicamente manipolata. Il suono vocale/strumentale, una volta catturato viene inviato alle macchine e queste a loro volta lo restituiscono, attraverso più altoparlanti, in una diversa dimensione spazio-temporale.
AL MACRO, con la parola, anche la carta diventa soggetto dell’esposizione, grazie anche alla collaborazione con COMIECO– Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica. A partire dal 26 aprile (dalle ore 14.00 alle 20.00) i cittadini di Roma saranno invitati a portare vecchi giornali all’interno dello spazio della Pelanda denominato “domus poetica”. Il 28 aprile Marco Nereo Rotelli realizzerà una performance rielaborando questo materiale in un’opera. I giornali saranno così riciclati e “messi in luce”, mediante la realizzazione di una vera e propria opera d’arte: grazie alla ricerca dello scienziato Franco Miglietta e dell’IBIMET CNR di Firenze, verrà messo a disposizione dei presenti, fra i quali gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma, un liquido capace di “illuminare” la carta, interagendo quindi con i presenti e creando una luminosa via di C/ARTE, indice e simbolo di un sapere da estrapolare e mantenere per una nuova dimensione, quella artistica.
Inoltre, martedì 11 aprile, alle ore 17.00, Adonis, con Claudio Crescentini, Marco Nereo Rotelli e Dalma Frascarelli, Vicedirettrice dell’Accademia di Belle Arti di Roma, interverranno presso l’Aula Magna dell’Accademia di via Ripetta, ad un incontro pubblico sul tema La parola nell’arte / L’arte nella parola, inserito nel programma d’incontri organizzato con importanti artisti e intellettuali contemporanei organizzati dall’Accademia stessa.
Il catalogo della mostra è curato da Filippo Rotundo (edito da Philobiblon), con immagini delle opere in esposizione e un’inedita antologia dedicata a Yang Lian e Adonis.
Alessandro Valeri – Una sola possibilità
Foyer
Installazione dell’artista Alessandro Valeri nell’ambito della mostra Arte e politica.
Alessandro Valeri vive e lavora tra Roma, Narni e molteplici residenze in nomadismo creativo. Attraverso un originale percorso tra materiali e tecniche diverse – installazione, fotografia, video, pittura, disegno, scrittura etc. – palesa una considerazione critica nei confronti della realtà – più spesso problematica – che di volta in volta egli indaga, individuandone criticità, degenerazioni, mistificazioni, interdizioni e preconcetti concreti che si incontrano, si impongono e che non avrebbero motivo di esistere. Tale analisi, nella sua arte, si manifesta sempre attraverso un gesto di mediazione dolce e di apertura all’altro da sé. Infatti, i suoi lavori nascono da un desiderio di partecipazione e condivisione creativa, sociale e politica che indichi la possibilità di un cambiamento: sia nella coscienza, individuale e poi collettiva, sia più concreto e materiale.
Nasce da questa sua attenzione e visione l’articolata operazione resistenziale Sepphoris, un viaggio iniziato dall’artista nel 2011 a Tzippori (in greco antico Sepphoris) in Galilea, vicino a Nazareth. E’ lì che, all’interno di un moshav ebraico in una zona del paese prevalentemente abitata da arabi musulmani, un piccolissimo gruppo di suore dell’Ordine delle Figlie di Sant’Anna gestisce, con operatori cristiani, ebrei e musulmani, un orfanotrofio che accoglie bambini senza fare alcuna distinzione di etnia o religione e assolutamente senza propensione all’evangelizzazione. In questa struttura Valeri ha portato il suo contributo concreto di artista. Ha infatti donato alla casa d’accoglienza un’ampia serie di opere nate in quel contesto e si è impegnato direttamente nella vendita (con tanto di registrazione notarile) e il cui ricavato è servito e sta servendo ad acquistare beni di prima necessità per l’orfanotrofio. Il video SEPPHORIS (2015, 18′), con la sua storia meravigliosa di bambini affrancati grazie alla pratica del disegno e della creatività, e fatta di accoglimento e rispetto dell’altro da sé, ne è una diretta filiazione.
L’opera calpestabile e installativa S.T., 2017 (dimensioni variabili, spezzoni di matite), una cui declinazione è stata esposta con successo al MACRO Testaccio di Roma nel giugno 2016 (nella personale Lasciami entrare), concede la possibilità di un instabile percorso a rischio e pericolo del fruitore che accetti la chiamata di Valeri al suo gioco serio dell’arte. Le matite richiamano il mondo infantile, quello dell’apprendimento scolastico e il libero disegnare dei bambini e, spezzate, sono metafore efficaci da una parte della ribellione, dall’altra delle possibilità negate, anche di un equilibrio. Questi mucchi di mozziconi di matite rimandano all’età dell’innocenza violentemente proiettata in una realtà ben poco innocente… Ma a Valeri non basta: intende creare una connessione più profonda con le persone, disposte a farsi più partecipi, incedendo sul pavimento reso impervio, perché le matite rotolano e si spezzano ulteriormente sotto i passi di chi vi cammina sopra: riconoscendo e superando la difficoltà del percorso ad inciampo, allegorico dell’Arte e della Vita.
Universal Keyboard (2016, neon, 100x100cm) diventa in questa narrazione un segnale fatto di parole emblematiche – life milk dead – che accompagnano dentro il concetto globale di questa mostra: la possibilità del rinnovamento e del ciclo della vita sempre a rischio; infine, la scultura Dove finisce il dissenso (2017, dimensioni variabili, cartone, nastro adesivo, ca 80000 spezzoni di matite) rivela – a partire dalla didascalia, che è parte integrante dell’opera – le trappole dell’inibizione e omologazione in cui la società contemporanea dominata dalla protervia del potere e dell’economia fa cadere gli ex bambini liberi, ancora senza sovrastrutture, poi divenuti grandi e ora fatalmente prede dell’omologazione imperante. Che qualcuno riesce a non archiviare. Resta, per tornare ad essere se stessi, autonomi ed empatici, una sola possibilità – titolo della mostra – e ognuno ha la sua: l’arte può solo aiutare a porre il problema, a farsi qualche inedita domanda e a fornire una diversa visuale, meno scontata, sulla vita e sulle cose.
Otros sonidos, otros paisajes – Mostra di sound art
L’esposizione vede proposti per la prima volta in Italia i lavori di cinque sound artists cileni. L’esplorazione sonora di paesaggi del Cile, dal deserto di Acatama fino alla regione della Patagonia: è questo il filo conduttore delle installazioni realizzate dagli artisti sonori con l’obiettivo di rileggere e ridare luce, attraverso la prospettiva dell’ascolto, a geografie e storie messe ai margini nel contesto globale.
L’esposizione è curata da Antonio Arévalo, critico e curatore, addetto culturale dell’Ambasciata del Cile in Italia, e da Leandro Pisano, curatore, teorico e ricercatore sonoro indipendente, fondatore di Interferenze New Arts Festival e del progetto di residenza artistica sonora e rurale Liminaria.
In mostra ci saranno: Fernando Godoy, che ha catturato l’impronta acustica del deserto di Atacama come luogo di sospensione tra passato e futuro; Claudia González Godoy, che ha catturato il rumore del fiume Mapocho, il cui sgocciolio rappresenta il suono dello scorrere del tempo; Sebastian Jatz, il quale ha realizzato un’istallazione sonora costruita secondo i principi dell’arpa eolica; Rainer Krause, che indaga attraverso il suono della voce la connessione tra l’uomo e il territorio in cui vive; Alejandra Perez Nuñez, la cui opera interattiva rappresenta una cartografia sonora della penisola antartica.
Una riflessione sul ruolo sempre più rilevante della sound art all’interno del panorama dell’arte contemporanea ma anche del suono nelle scienze umane e sociali. Attraverso l’arte, il suono emerge come linguaggio e dispositivo autonomo in grado di mettere in discussione paradigmi costituiti, superando un inquadramento puramente musicologico. “Otros sonidos, otros paisajes” rappresenta non solo un momento significativo di incontro culturale, ma anche una stimolante opportunità per riflettere sull’importanza del suono come elemento di forte connessione con gli spazi che attraversiamo e che, grazie alla prospettiva espressa dai cinque artisti coinvolti, fa emergere narrazioni finora rimaste inascoltate.
Cross the Streets
MACRO Sala e Sala Bianca
La mostra, a cura di Paulo von Vacano, raccoglie e racconta 40 anni di Street Art e Writing, ospitando negli spazi del museo i più importanti artisti che hanno segnato le tappe fondamentali di questo movimento a livello internazionale e locale.
L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Regione Lazio, ideata e prodotta da Drago, in collaborazione con nufactory (promotore e ideatore di Outdoor Festival), progetto ABC della Regione Lazio e con il supporto organizzativo e servizi museali di Zètema Progetto Cultura. La mostra è inoltre patrocinata dal CONI.
Cross the Streets è una piattaforma culturale che getta le basi per una storicizzazione del fenomeno del Writing e della Street Art, tirando le fila del fenomeno artistico e mediatico fra i più influenti degli ultimi quarant’anni. Una controcultura, ormai diventata ampiamente mainstream, entra al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma, dove sono già presenti interventi permanenti di street/urban art realizzati da Bros, Ozmo e Sten&Lex.
Il progetto nasce da alcuni concetti fondamentali della ricerca di Paulo Lucas von Vacano sulla controcultura Street e tutte le sue declinazioni. Come scrive nel catalogo “La strada osserva. La strada governa […] Scegliere la creatività a discapito della criminalità è una posizione che incentiva l’arte, la musica e lo sport. La rivoluzione avviene quando la strada entra nel museo e il museo si trasferisce nella strada. Chi sopravvive alla strada governa il mondo!”
Unica avanguardia in grado di riunire gioventù, periferie e minoranze della globalizzazione, l’arte urbana, in tutte le sue forme – dal Writing, ai Graffiti, dal Muralismo alla Street Art – ha influenzato profondamente l’immaginario collettivo: partendo da fenomeno underground di protesta giovanile questa pratica artistica è arrivata a contaminare tutti i campi, dalla moda alla musica, dal cinema alla fotografia fino alla pubblicità e, più in generale, è diventata di dominio pubblico. Lo scopo di Cross the Streets è quello di indagare, a livello globale, la potenza e la fascinazione di questa multimedialità estrapolandone le linee guida, i pionieri mondiali, i fenomeni di costume da essa generati e, a livello locale, la storia del graffitismo romano.
La sezione dal titolo “Street Art Stories” ospita una selezione di artisti e opere che – riuniti sotto la stessa visione – permettono allo spettatore di avere una panoramica più chiara possibile della nascita e dell’evoluzione del fenomeno della Street Art. Appena entrati si viene colpiti dall’installazione site specific dell’artista franco americano WK Interact che, con il suo lavoro di ben 14 metri di ampiezza, ha dato vita a una scena simbolo della sua ricerca dinamica. Poi, oltre ai rinomati mosaici dell’artista francese Invader che hanno invaso le strade di Roma nel 2010, si può osservare Middle East Mural, una maxi tela grande più di 10 metri di Shepard Fairey aka Obey the Giant che viene esposta per la prima volta in Europa, accompagnata da più di trenta pezzi mai esposti a Roma in grado di dare una visione tout court sul lavoro di uno dei più famosi artisti americani. Si prosegue poi con Keith Haring Deleted, una testimonianza fotografica di Stefano Fontebasso De Martino a cura di Claudio Crescentini, con in mostra una serie di foto, presenti nella collezione del MACRO – CRDAV, relative all’intervento di Keith Haring sul Palazzo delle Esposizioni (1984), successivamente “cancellato” in occasione dell’arrivo del Presidente Gorbaciov nella Capitale. Sempre di Stefano Fontebasso De Martino sono anche le fotografie (1984-86, coll. privata) di un altro intervento artistico di Keith Haring a Roma, realizzato durante un suo secondo soggiorno nella Capitale sui pannelli trasparenti del ponte sul Tevere, dove transita la metropolitana linea A del tratto Flaminio-Lepanto. Anche questo intervento “Deleted”.
Altri lavori importanti sono i site specific: ad alcuni artisti simbolo del movimento è stata riservata una fetta di museo, nello specifico 5×10 metri, per esprimere liberamente la propria arte fra dripping, installazioni, lettering, stencil, poster e lavori su tela, il tutto realizzato all’interno e per gli spazi del Museo. Fra i nomi di artisti internazionali coinvolti il graffiti artist tedesco Daim, king della tecnica 3D, Chaz Bojourquez, capostipite dello stile del lettering West Coast e idolo di tutto il mondo dei tatuaggi, Evol, famoso per le sue installazioni di paesaggi urbani in miniatura, e fra i romani Diamond, con la sua estetica fra il liberty e il tatuaggio old school, il maestro dello stencil Lucamaleonte e JBRock che porterà una collezione di poster direttamente dai suoi interventi in strada.
Fra gli altri artisti in mostra citiamo Mike Giant, Sten e Lex, Will Barras, Cope 2, DozeGreen e Roa, Swoon, Fafi, Flying Fortress, Koralie, Nick Walker, Miss Van, Hyuro, Jeremy Fish, Microbo, Bo130, Galo, 2501, Mark Jenkins, Moneyless, Giacomo Spazio, Solomostry, Stella Tasca, Agostino Iacurci, Ozmo, Pisa 73, Luca Mamone e il giovanissimo Mosa One (classe 1997!) e, per la sezione dedicata al pop surrealism, Ray Caesar, Mark Ryden, Marion Peck, Camille Rose Garcia,Kazuki Takamatsu, Yosuke Ueno fino ad arrivare ai toys di Ron English.
Non manca una sezione fotografica incentrata sul fenomeno della Street Photography con opere di Estevan Oriol, Ed Templeton e Boogie.
La sezione “Writing a Roma, 1979-2017” che ospita una ricerca dedicata al rapporto speciale che lega Roma al Writing fin dal dicembre 1979, quando la Galleria La Medusa ospitò la prima mostra di graffiti organizzata fuori dagli Stati Uniti, è curata da Christian Omodeo, fondatore di Le Grand Jeu, agenzia e bookstore di Parigi specializzata in arte urbana. La riscoperta di un gruppo di opere di Lee Quinones e Fab 5 Freddy, esposte in mostra per la prima volta dopo essere state date per disperse per quasi quarant’anni, apre un percorso espositivo altrimenti incentrato su diverse generazioni di writers locali che, dagli anni ‘80 fino ad oggi, hanno fatto di Roma una delle capitali del Writing internazionale. In nessun’altra città al mondo, infatti, le metropolitane e i treni del sistema ferroviario urbano sono stati dipinti con la stessa continuità – quasi trent’anni – di Roma. Tra gli artisti coinvolti, oltre a Lee Quinones e Fab 5 Freddy, vanno citati Napal e Brus, Jon e Koma, Imos, Pax Paloscia, Rebus, il fotografo Valerio Polici e le crewsTRV e Why Style.
Un’ulteriore sezione riguarda i “Milestones” ossia gli eventi imprescindibili che hanno contribuito alla costituzione di questo movimento come le mostre dei primi anni 2000 dello Studio 14, l’International Poster Art, il progetto Izastikup, la nascita dell’Outdoor Festival e “Fuck You All”, mostra del 1998 di GlenFriedman le cui opere verranno raccolte dalla curatrice Rita Luchetti Bartoli.
Il logo di Cross the Streets è stato realizzato da Deep Masito, già fondatore e frontman del noto gruppo rap underground Colle der Fomento e ora tra i più famosi lettering artist.
L’intera mostra è allestita dallo Studio Ma0, un team di architetti fondato nel 1996 a Roma specializzato in allestimenti e installazioni multimediali, nella convinzione che l’architettura sia un sapere di mezzo, etimologicamente un media tra diverse discipline e geografie del territorio. Lo studio riflette sull’architettura come sistema di regole spaziali – playground – capace di produrre e modificare relazioni tra spazi e abitanti, tra pubblico e privato, tra artificiale e naturale.
L’allestimento di Cross the Streets porta fin dentro il museo il linguaggio della Street Art: per l’occasione il MACRO viene contaminato da elementi leggeri e temporanei, dalla segnaletica orizzontale che dalla strada entra direttamente nella sala grande, ai teli da impalcature che ne trasformano il grande spazio in una scena urbana da esplorare. Molti dei materiali torneranno ad essere riutilizzati nei cantieri edili, facendo così di Cross the Streets il più importante allestimento produttivo realizzato da Ma0, il passaggio di un processo costruttivo in cui gli sprechi sono ridotti al minimo e la vita dei materiali impiegati non si conclude con la mostra ma continua altrove.
La mostra Cross the Streets sarà accompagnata dalla realizzazione da parte della casa editrice Drago di un omonimo catalogo che documenterà tutti gli interventi in mostra con fotografie di Simon d’Exéa anche degli artisti a lavoro nel museo, delle opere e correlato da testi, interviste ai curatori e immagini d’archivio. Sarà realizzata inoltre una fanzine con la collaborazione di diversi operatori del settore e contenente interviste, reportage e servizi, con annesso spazio nelle varie pagine pubblicitarie per tutte le realtà limitrofe e gemellate con il progetto. Un documentario sul making of Cross the Streets sarà realizzato da Camillo Cutolo.
Durante la mostra, inoltre, verrà presentato il libro “The Street is Watching”, antologia di Street Photography che in 440 pagine raccoglie 50 anni di storia del movimento e racchiude il lavoro di più di cento artisti fra Mary Ellen Mark e Martha Cooper passando per Bruce Davidson, Jim Goldberg, Nan Goldin e Ryan McGinley. Il libro è edito da Drago.
Parallelamente alla mostra, la Sovrintendenza Capitolina organizzerà, fra giugno e ottobre, una serie di incontri su alcuni dei temi caldi della Street e dell’arte urbana in generale, che vanno dal diritto d’autore alla proprietà e legalità, dalla conservazione all’iconografia e la semiotica del Writing, dalla fruizione alla produzione. In contemporanea è stata anche lanciata una call verso tutti i Municipi di Roma Capitale in modo che possano venire a raccontare le “storie” della Street Art a Roma, lungo quasi quarant’anni di produzione urbana.
Durante l’arco della durata della mostra Cross the Streets saranno presentati al MACRO numerosi progetti riguardanti il rapporto tra l’arte e la salute psicofisica di fasce deboli come l’infanzia e la terza età realizzati con il Dipartimento diPediatria della Facoltà di Medicina e Psicologia, La Sapienza, Ospedale Sant’ Andrea di Roma.
Il 20 maggio l’artista JBRock realizzerà un raro esempio di art sharing durante l’evento speciale intitolato “The Moleskine Black Wall”. L’opera, “Moleskine, il tuo universo”, verrà prodotta su un muro di 12 metri composto da 960 classici taccuini Moleskine. Gli stessi usati correntemente dai writers per preparare gli sketch dei loro lavori e chiamati appunto Black Book.
Ciascuno dei taccuini, in vendita durante la mostra, sarà taggato da un QR code che oltre a certificarne l’autenticità, permetterà ai proprietari di iscriversi tramite la piattaforma Vericode, messa a disposizione da TraceToo, al network degli art sharing owners del Moleskine Black Wall. Gli art sharing owners potranno così essere contattati in futuro per organizzare nel mondo nuove esposizioni dell’opera “Moleskine, il tuo universo”.
Il ricavato della vendita sarà donato in beneficienza ad ARTEinMENTE che in occasione della live performance dell’artista JBRock sul Moleskine Wall, riunirà in un workshop educativo i numerosi bambini e le loro famiglie coinvolti in questo progetto.
Tutto l’evento sarà ripreso dalla troupe televisiva di Amanita Production per Sky Arte.
La mostra comprende anche il progetto di sei eventi collaterali notturni. Dal 14 maggio sarà in programma la Sky Arte Arena, un ciclo di proiezioni dedicate alla street art all’interno dell’auditorium di Odile Decq: dieci appuntamenti realizzati in collaborazione con il canale satellitare Sky Arte HD (canali 120 e 400 di Sky) che presenterà opere come Dismaland – La giostra crudele di Banksy, Graffiti a New York e Ronnie Cutrone – Everything is a cartoon for me. L’ingresso alle proiezioni è gratuito per il pubblico in possesso del biglietto di ingresso alla mostra.
MACROMANARA – Tutto ricominciò con un’estate romana
La mostra ripercorre l’intera carriera del fumettista veronese e Maestro dell’eros, Milo Manara, attraverso due percorsi principali.
Da una parte una ricca proposta antologica, attraverso la quale si tracceranno tutte le grandi opere degli anni ’70, ’80 e ’90, dalle straordinarie tavole di Giuseppe Bergman a quel Tutto ricomincio con un’estate indiana che lo vide lavorare in coppia con l’amico Hugo Pratt, con il quale – successivamente – realizzò anche El Gaucho. E ancora Lo Scimmiotto, Gulliveriana, le storie del Gioco, di Miele e molto altro!
Dall’altra, la produzione più contemporanea (completa delle commission estere per Stati Uniti e Francia) e il suo rapporto con Roma e il cinema: dalla Cinecittà di Federico Fellini fino ai Borgia e Caravaggio, con una serie di illustrazioni dedicate alle grandi dive cinematografiche che vengono esposte per la prima volta andando a comporre un portfolio inedito che Comicon Edizioni presenta in anteprima all’ARF! Festival.
Nota biografica
Milo Manara nasce a Luson in provincia di Bolzano il 12 settembre 1945. Debutta alla fine degli anni ’60 come autore di storie erotico-poliziesche sulla collana Genius e subito dopo in Jolanda de Almaviva, serie sexy di grande successo. Negli anni ’70 avvia la collaborazione con il Corriere dei Ragazzi, con una serie di fumetti sceneggiati da Mino Milani, La parola alla Giuria. Nello stesso periodo, sui testi di Alfredo Castelli e Mario Gomboli, realizza Un fascio di bombe. Subito dopo, assieme a Silverio Pisu, Manara da’ vita a Lo scimmiotto e Alessio, il borghese rivoluzionario, che segnano il suo debutto nel fumetto d’autore.
Nel 1978 crea il suo primo personaggio di successo, pubblicato in prima battuta in Francia dalla rivista “A Suivre”: HP e Giuseppe Bergman, dove HP è un chiaro riferimento al suo maestro e mentore Hugo Pratt. Nei primo anni ’80 crea Il Gioco, storia ad alta densità erotica che gli da’ un successo a livello mondiale. Di questo periodo è anche il primo di due lavori su testi di Pratt: Tutto ricominciò con un’estate indiana, seguita anni dopo da El Gaucho. Su sceneggiatura di Castelli, Manara disegna poi L’Uomo delle nevi per la celebre collana “Un Uomo, un’avventura”. Subito dopo crea Miele, forse il suo personaggio femminile più famoso, protagonista dei volumi Il profumo dell’invisibile e di sei storie brevi intitolate Candid Camera.
Nel 1987 inizia la collaborazione con Federico Fellini, il quale gli chiede le illustrazioni di una sceneggiatura. Da qui Manara, con il consenso del regista, trasforma il testo di Fellini in Viaggio a Tulum, seguito da Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Fanno seguito le trasposizione a fumetti di tre classici della letteratura: Gulliveriana, Kamasutra e L’asino d’oro. Disegna inoltre tre storie di carattere sociale: Ballata in Si bemolle (dedicata al tema dell’usura), Rivoluzione (sull’imbarbarimento generato dalla televisione) e Tre ragazze nella rete (ispirata al mondo di internet). Il decennio si chiude con il ritorno di Giuseppe Bergman con A riveder le stelle.
Nel 2009 la Marvel Comics gli commissiona – in coppia con Chris Claremont – una storia degli X-Men tutta al femminile (Ragazze in fuga) che non è il suo unica excursus nei comics americani, considerando la sua importante collaborazione sul Sandman di Neil Gaiman. Su sceneggiatura di Vincenzo Cerami pubblica Gli occhi di Pandora. Dall’inizio degli anni Duemila, Manara lavora al progetto Il pittore e la modella, un viaggio nella storia dell’arte pittorica. Su testi di Alejandro Jodorowsky disegna poi un fumetto sulla casata de i Borgia. Nel 2008 sigla un accedo con il Napoli Comicon per la cura e la gestione di tutte le sue mostre in Italia e all’estero e pubblica per Panini il primo volume di Caravaggio.
Giancarlo Limoni – Il giardino del tempo / Opere 1980-2017
Padiglione 9A
Prima antologica di Giancarlo Limoni. La mostra, che raccoglie venticinque quadri di grandissimo formato realizzati tra il 1980 e il 2017, vuole presentare in modo organico uno dei protagonisti della Nuova Scuola Romana degli anni Ottanta che ha avuto tra i suoi maggiori punti di riferimento proprio la Galleria L’Attico di Fabio Sargentini.
Limoni conduce da sempre un lavoro rigoroso e poetico sul medium pittorico, sulla sua materia, sulla luce e sul colore visti come strumenti di un’intensa ricerca sul rapporto tra natura e cultura.
Il percorso artistico di Limoni si arricchisce di riflessioni sulla letteratura e la filosofia: la natura viene interpretata attraverso il filtro mentale di un dialogo con la storia dell’arte e con l’opera di grandi maestri come Turner, Monet, Permeke, Soutine, Mafai, De Staël e Fautrier, tra Impressionismo, Espressionismo e Informale. Suggestioni rilette, però, con uno sguardo indipendente e personale, influenzato anche dalla pittura orientale, e che rende la ricerca di Limoni del tutto unica nel contesto artistico degli ultimi decenni.
L’opera iniziale di Limoni negli anni Ottanta è partita da una pittura dove il colore si distende in accordi e dissonanze di segni e di materia cromatica in un dialogo serrato con la ruvida tessitura della tela. Nel corso degli anni, l’opera dell’artista si è fatta poi sempre più densa e complessa nella sua stratificazione di stesure e di intrecci pittorici, di paste cromatiche e di sprezzature esecutive, in quadri sospesi tra la lentezza della meditazione e la rapidità della stesura in rapporto con la leggerezza mentale dell’arte e del pensiero orientali.
Dai primi cicli di opere a quelle più recenti, Limoni ha lavorato dunque sul corpo fisico e sulla struttura intellettuale della pittura, dando vita a un sistema che negli anni si è arricchito non solo di fioriture di materia quasi tattile e di una sempre maggiore sapienza esecutiva, ma di una pienezza lirica che sembra dare forma tangibile all’essenza sfuggente del tempo e al suo scorrere. L’artista dà forma così a una sorta di flusso vitale, sviluppato attraverso la forza millenaria del colore addensato sul supporto come un grumo esistenziale che ritrova il proprio senso grazie al gesto arcaico e perennemente rinnovato del pittore.
L’approdo di questo viaggio è stata quindi la sontuosa ricchezza delle opere realizzate dagli anni Novanta in poi, dove la visione cromatica si arricchisce di una pulsazione vitale che ricompone la vibrazione del mondo nelle sue fioriture, nei riflessi d’acqua e nel mare attraversato da tagli di luce e di vento, dove i pigmenti si immergono e si cristallizzano nelle acque della memoria. Dare forma a un nuovo giardino del tempo: tra l’esplosione dei colori che inondano la tela e la silenziosa presenza delle opere più recenti, dedicate ai Giardini di neve, dove il bianco si anima delle presenze enigmatiche e impercettibili di velature e di spessori cromatici.
L’allestimento espositivo è realizzato grazie alla collaborazione tecnica di Scenografia Mekane, Roma. Il catalogo della mostra è il primo volume delle Edizioni ARATRO Arte Contemporanea–dell’Università degli Studi del Molise, in collaborazione con Regia Edizioni, con un testo di Fabio Sargentini, un saggio del curatore Lorenzo Canova e apparati bio-bibliografici a cura di A.A.M.-Architettura Arte Moderna di Roma.
Nota biografica
Giancarlo Limoni nasce a Roma nel 1947, dove vive e lavora. Nel 1975 si apre la sua prima mostra personale alla “Galleria della Trinità” di Roma. Nel 1977, è tra i vincitori del premio Termoli. Seguono quindi mostre collettive e personali. Nel 1983-’84 ha, per un breve periodo, uno studio nel Pastificio Cerere dove Fabio Sargentini vede il suo lavoro e lo invita alla mostra Extemporanea che inaugura il loro lungo sodalizio. Dal 1984, espone in numerose mostre personali e collettive alla Galleria L’Attico di Fabio Sargentini. Partecipa inoltre ad alcune tra le più importanti collettive di quegli anni: Nuove trame dell’Arte a Genazzano; Anni ‘80 a Bologna; La nuova scuola romana a Graz; Trent’anni dell’Attico a Spoleto; Capodopera a Fiesole; Post-Astrazione a Milano; Un musée en voyage : la Collection de la Neue Galerie de Graz 1960-90 al MAC Musée d’Art Contemporain de Lyon; 1960-‘90 Trenta anni di avanguardie romane al Palazzo dei Congressi, EUR, Roma; Raccolta del Disegno Contemporaneo. nuove acquisizioni, Galleria Civica di Modena; Arte Contemporanea. Lavori in Corso, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma. Dal 2000, avvia un più stretto rapporto sul piano personale, culturale e professionale con Francesco Moschini, che sfocia in alcune mostre appositamente pensate e progettate per lo spazio di A.A.M. Architettura Arte Moderna di Roma che gli dedica un’importante monografia nel 2013 (Gangemi Editore). Tra le mostre collettive si segnalano: Doppio, triplo, quadruplo, D’ailleurs, c’est toujours les autres qui meurent, Falsi astratti, A perdita d’occhio, presso la Galleria L’Attico. Nel 2013, viene invitato a parlare del proprio lavoro all’interno della rassegna “I Martedì Critici”, al Chiostro del Bramante di Roma. Tra le ultime mostre, le personali all’ARATRO, museo laboratorio dell’Università del Molise (2014) e alla Biblioteca Isontina di Gorizia (2015) e le collettive I martedì critici in mostra, Temple University-Roma (2015); 48. Premio Vasto (2015); C’è chi dipinge (2015) e Unioni civili (2016) a L’Attico.
Giovanni De Angelis – ART REWIND #1
Studio d’artista #2
Un progetto fotografico che nasce dall’idea di rivalutare l’arte contemporanea ricominciando proprio da coloro i quali ne sono i creatori e produttori, ovvero gli artisti, e che vede esposti una serie di ritratti realizzati a 48 artisti contemporanei italiani e stranieri, che operano in Italia e che, in prevalenza, hanno un’età non superiore ai 50 anni.
Come osserva Laura Cherubini nel testo presentato alla Biennale di Venezia nel 2015 “Giovanni De Angelis, Uno sguardo duplice”, per questa serie di ritratti di artisti, Giovanni De Angelis non sceglie di eseguire uno scatto classico.
I suoi ritratti non intendono fermare l’attimo cogliendo l’essenza interiore del soggetto nel momento della posa, ma piuttosto fornire un’interpretazione del lavoro dell’artista, mettendo a fuoco la sua opera e la sua identità attraverso il meccanismo dell’azione e degli oggetti significanti.
De Angelis, come un regista in un continuo via vai tra il set e la macchina fotografica, ha ritratto infatti ogni artista nell’esecuzione di una piccola azione legata al proprio lavoro, dopo aver individuato nella sua opera i processi del lavoro e messo in evidenza gli oggetti più significativi presenti all’interno del suo studio.
Nei ritratti in mostra, torna inoltre un tema centrale di tutto il lavoro di Giovanni De Angelis, il tema del doppio. Per la maggior parte, le immagini che ritraggono l’artista in azione sono duplici, montate su doppia pagina, in altri casi si tratta di una sola immagine in cui l’idea del doppio è in qualche modo implicita nella stessa o di una immagine che ha un doppio mancante, momentaneamente assente. Tutte le immagini sono attraversate da una linea rossa che contrasta il bianco e nero della fotografia, creando e rompendo continuamente la dualità. Una linea rossa che per De Angelis rappresenta una linea di passaggio dalla dimensione del doppio verso un’altra dimensione più nascosta e intima, quella solitaria e irriducibile di un io di volta in volta diverso che stenta a tradursi in noi, ma non rinuncia a questo tentativo impossibile.
Gli artisti ritratti sono: Mario Airò, Stefano Arienti, Angelo Bellobono, Simone Berti, Luca Bertolo, Bianco e Valente, Alice Cattaneo, Goldshmied & Chiari, Gianluca Concialdi, Alberto Di Fabio, Loredana Di Lillo, Rä Di Martino, Stanislao Di Giugno, Davide Dormino, Flavio Favelli, Francesca Grilli, Emiliano Maggi, Marcello Maloberti, Masbedo, Sebastiano Mauri, Ryan Mendoza, Davide Monaldi, Liliana Moro, Riccardo Murelli, Adrian Paci, Luana Perilli, Jorge Peris, Alessandro Piangiamore, Donato Piccolo, Giuseppe Pietroniro, Gianni Politi, Mariagrazia Pontorno, Gioacchino Pontrelli, Luca Pozzi, Luigi Antonio Presicce, Daniele Puppi, Marco Raparelli, Pietro Ruffo, Andrea Sala, Alessandro Sarra, Sissi, Donatella Spaziani, Giuseppe Stampone, Eugenio Tibaldi, Gianmaria Tosatti, Luca Trevisani, Nari Ward, Vedovamazzei.
Note biografiche
Nato a Napoli, Giovanni De Angelis vive e lavora a Roma dal 1992. Si avvicina alla fotografia tradizionale appena adolescente e da subito sviluppa un forte interesse per la ricerca sulla percezione visiva: nel 2004, con Luceveloce, inizia uno studio che mira ad indagare le infinite potenzialità della luce ed il suo interagire con i corpi. Tra il 2005 ed il 2006, in una dimensione che oscilla tra pittura e fotografia, prosegue la sua indagine con Lucedissolve, dove figure solitarie, immobili o in movimento, attraversano con le loro ombre fasci luminosi. Lo sviluppo della sua ricerca evolve verso un crescente interesse per gli aspetti della modernità, delle società e delle metropoli giapponesi ed indiane, come dimostrano Strade con pioggia, Sui iki e Churchgate, lavori esposti in molte gallerie in cui l’interesse per la cultura orientale è colto con uno sguardo etnoantropologico.
Il suo interesse per le metropoli continua poi con il progetto Contemporary Districts nelle città di Tokyo, Tel Aviv, Varsavia, e prosegue tutt’oggi ponendo i giovani ed il loro contesto al centro della ricerca, alla scoperta di distretti urbani popolati da un’umanità in continuo cambiamento.
Il lavoro di Giovanni De Angelis ricrea a volte le memorie di chi memoria non ha più, come nel caso di Sansoni Elide, progetto esposto nella collettiva ECC Ente Comunale di Consumo (2010). In uno degli ultimi progetti, Water Drops presentato al MACRO, Giovanni De Angelis affronta il tema della gemellarità da una doppia prospettiva, sociale ed antropologica, slegandosi dall’idea del semplice reportage per giungere ad approfondire i temi dell’identità, dell’unicità dell’individuo e del suo rapporto con l’altro. E’ nel progetto ICKU (I Can Kill U) che De Angelis presenta una serie di ritratti di giovani lettoni nella loro vita privata e mentre imbracciano una pistola puntandola contro l’obiettivo. “[…] Tra il volume articolato di queste fotografie di ambiente e la linea dritta che unisce lo sguardo all’obiettivo nei primi piani armati di pistola c’è tutto lo spessore di una ricerca artistica ed espressiva che in quattro netti movimenti, si concentra sull’identità (I), la libertà e il potere (CAN), la violenza come deriva dalla quotidianità (KILL) e la relazione con l’altro (You). ICkI = I CAN KILL YOU” (Costanza Paissan). E’ del 2015 l’ultimo progetto di ritratti di artisti contemporanei che si realizza in un libro ART REWIND #1 edito Maretti Editore e con un testo di Laura Cherubini presentato alla Biennale di Venezia nel 2015. Sarà una mostra presso il museo MACRO nel 2017. In lavorazione il nuovo ART REWIND #2 , nuova serie di artisti.
VISIONI GEOMETRICHE. Opere dalla collezione MACRO #5
Quinto appuntamento della serie progettata per le Sale Collezione. In mostra, circa 25 opere datate a partire dai primi anni ’60 del XX secolo, dove a grandi nomi del panorama nazionale si accostano opere con minore storia espositiva, ma spesso veri gioielli da scoprire, o riscoprire.
Fil rouge è la ricerca artistica a favore di una totale autonomia dell’opera rispetto al reale e alla rappresentazione, attraverso i vincoli della geometria e di schemi strutturati.
L’astrazione geometrica è una delle vie seguite dall’arte del ‘900 una volta svuotatasi della necessità della rappresentazione figurativa e del contenuto, una delle dimensioni dell’immaginario contemporaneo. I nomi degli artisti presenti in mostra, permettono non solo un approfondimento del tema proposto, ma una valorizzazione della collezione, dalla quale sono fatti emergere opere, tra sculture, installazioni e dipinti.
Danilo Bucchi – Lunar black
Project room #2
La mostra, formata da 8 opere, di cui una monumentale, e completata con la proiezione di Illusion appartenente al ciclo delle lavagne luminose, ha un carattere ambivalente: introduce l’ultimo periodo dell’artista romano Danilo Bucchi sulla nerità, come la definisce Achille Bonito Oliva, e descrive la peculiarità lavorativa / lunatica, appunto, dell’autore, in continuo dinamismo fra idee e pratiche pittoriche attuative.
GEHARD DEMETZ – Introjection
Project room #1 e Foyer
Gehard Demetz (Bolzano, 1972) utilizza come materiale esclusivo della sua scultura il legno, a cui ha saputo dare nel corso degli anni una devianza contemporanea, uno scarto dalla regola e dalla funzionalità artigianale.
Dando l’impressione, oltre che di scolpire, anche di comporre le opere attraverso assemblaggi di blocchetti di legno, Demetz introduce nelle sue sculture effetti di sfasamenti cromatici, distorsioni, allungamenti, anamorfosi, accorciamenti dimensionali, favoriti dall’uso di iconografie religiose, infantili, architettoniche, archetipiche, che conservano senso della memoria e della storia per dargli una nuova veste in chiave profondamente psicologica.
La sua mostra “Introjection” si ispira quasi esclusivamente a tematiche legate a iconografie sacre sia livello liturgico (tabernacoli) che architettonico (chiese) o devozionale (Maria Vergine e Sacro cuore), a cui fanno da contrappunto immagini profane e dissacratorie (Hitler e Mao) e laiche (fienili della Val Gardena), in cui a predominare è la dissonanza, la dissolvenza, la metamorfosi tra condizione infantile e adulta, tra predestinazione e maledizione.
Il progetto espositivo che si presenta al MACRO offre molteplici spunti per indagare le possibilità di una tecnica atavica (parte integrante della formazione “tedesca” e comunque nordica di Gehard Demetz) che si mette in ascolto di pressioni e drammi contemporanei (si veda il rilievo assemblativo di tipiche e dozzinali figurine da presepe, raggruppate come fossero un’unica massa indistinta, quella di immigranti stipati su barconi), una tecnica che esalta l’aspetto squisitamente materico della scultura, levigato e reso più morbido dal modo stesso di trattare le superfici di legno, spesso dipinte a creare stacchi inattesi tra materia e immagine, facendo della scultura una immagine oltre che un oggetto. Un progetto quindi di ricerca in bilico tra memoria, devozione, simbologia e tradizione, unitamente a una immediatezza e istantaneità comunicativa che è tipica della contemporaneità dei nostri linguaggi più avanzati.
ARAZZERIA PENNESE – La contemporaneità del basso liccio
Studio d’artista 1
In mostra gli arazzi tessuti all’interno del laboratorio della Riserva Naturale Regionale Lago di Penne, oasi del WWF Italia. Esposti alcuni grandi arazzi di Giacomo Balla e Afro, parte dell’arazzeria storica, e la nuova produzione contemporanea costituita da due arazzi ciascuno di Alberto Di Fabio, Matteo Nasini, Marco Tirelli, Costas Varotsos e Andrea Mastrovito.
Nel 2014, la Riserva, insieme a Brioni, alla Fondazione Penne Musei e Archivi e alle cooperative Cogecstre e Alisei, ha riaperto, sotto la direzione di Laura Cutilli, una delle rarissime manifatture di arazzeria attive in Italia e l’unica a utilizzare la tecnica del basso liccio.
Fondata nel 1965 e attiva fino al 1998, l’Arazzeria Pennese rappresenta un’eccellenza dell’artigianato artistico di Penne, antico borgo medioevale della provincia di Pescara: a differenza delle arazzerie che operano in Italia ed Europa – come quelle francesi o portoghesi che lavorano ad alto liccio – il laboratorio segue delle proprie caratteristiche tecniche, con telai artigianali a quattro licci. La tessitura di un arazzo a basso liccio prevede una collaborazione stretta con l’artista sia nella prima fase di realizzazione del cartone che nella scelta cromatica delle lane – le cosiddette mazzette– preparate miscelando una serie di fili di lana colorati che per titolo e rispondenza cromatica diventano le trame del tessuto.
La nascita dell’Arazzeria Pennese nella seconda metà del ’900 è strettamente legata all’incontro e alla collaborazione con Enrico Accatino che nel laboratorio ha prodotto circa sessanta arazzi. I risultati brillanti ottenuti fin dall’inizio, fecero in breve tempo dell’Arazzeria Pennese un centro di grande risonanza internazionale e sono molti gli artisti che hanno fornito i loro bozzetti all’Arazzeria e collaborato con le loro idee e suggerimenti alla tessitura: Marcello Avenali, Afro Basaldella, Diana Baylon, Remo Brindisi, Primo Conti, Antonio Paradiso, le figlie di Giacomo Balla e Giuseppe Capogrossi, il cui arazzo, lungo più di 8 metri, è esposto attualmente nella Galleria della Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” di Roma.
Il nuovo percorso dell’Arazzeria è iniziato nel 2014 con le più giovani tessitrici dell’Arazzeria storica, Erminia Di Teodoro e Lolita Vellante, entrambe di Penne e con esperienza trentennale nella tessitura degli arazzi. Il laboratorio ha istituito rapporti diretti con Tirelli, Di Fabio, Varotsos, Nasini e Mastrovito, i quali hanno realizzato i bozzetti che sono stati poi tradotti – grazie alla maestria di Mario Costantini che ha studiato dei sistemi innovativi per tale passaggio creativo – in cartoni per gli arazzi. La tessitura avviene con il contributo dell’artista stesso, si crea cioè un rapporto simbiotico tra l’opera proposta, la realizzazione del cartone, la scelta delle mazzette e la manualità delle tessitrici. Le campiture cromatiche del cartone vengono studiate nel rispetto dell’opera ma vivono di un’autonomia propria che è alla base della traduzione tessile e costituisce la parte più nobile dell’arazzo.
In mostra, si potranno ammirare alcuni grandi arazzi di Giacomo Balla e Afro, parte dell’arazzeria storica, e la nuova produzione contemporanea costituita da due arazzi ciascuno di Alberto Di Fabio, Matteo Nasini, Marco Tirelli, Costas Varotsos e materiale preparatorio del recentissimo arazzo di Andrea Mastrovito, opera che sarà presentata ufficialmentea chiusura della mostra con un convegno sull’Arazzeria e il Contemporaneo.
Appunti di una Generazione #4 – Simone Berti / Cuoghi Corsello
Presso Studio #1 e Studio #2
Protagonisti del quarto appuntamento della rassegna che indaga la ricerca degli artisti italiani emersi negli anni ’90, sono Simone Berti (Adria, 1966) e Cuoghi Corsello (Monica Cuoghi, Bologna, 1965 – Claudio Corsello, Bologna, 1964).
A partire dagli anni Novanta Berti conduce una ricerca che muove dal concetto di precarietà, una istanza così forte da affermarsi come motivo generazionale e influenzare il lavoro di tanti altri artisti suoi coetanei. Se le prime opere dell’artista ragionavano sull’incertezza e la marginalità delle persone, ritratte all’interno dei propri nuclei familiari, nel tempo il suo immaginario si è popolato di figure in equilibrio instabile tratte dalla natura e dal paesaggio: animali, architetture e meccanismi che si sviluppavano in forme surreali.
Per il MACRO l’artista ha realizzato dipinti in cui evolve la sua riflessione sulle relazioni della forma dipinta, mettendo a dialogo figure sedimentate nel nostro immaginario collettivo e segni astratti in un gioco che evoca opere del passato più remoto ed esperimenti della pittura del Novecento. Ne risultano icone a metà tra antico e contemporaneo, in cui la categoria del tempo è superata dalla convivenza di colori e forme, che l’artista collega sospendendo qualsiasi giudizio estetico.
Le opere saranno illuminate da una lampada costruita ad hoc dall’artista, che inciderà sullo sguardo dello spettatore e sull’atmosfera che avvolgerà i suoi dipinti nello spazio.
Cuoghi Corsello possono essere considerati pionieri della street art italiana, senza tema di smentita. Nella seconda metà degli anni Ottanta hanno popolato Bologna e molte altre città d’Italia con le loro icone, a metà tra figure animate e segni grafici: in particolare, Pea Brain, CaneK8 e SUF.
Nel corso del tempo, la loro ricerca è approdata in gallerie d’arte, spazi no profit e musei pubblici, dove hanno iniziato a presentare installazioni, dipinti e interventi sonori legati al loro personale immaginario, popolato di elementi surreali che dialogano con lo spazio urbano.
Al MACRO sono stati coinvolti in un esperimento assolutamente originale. Cuoghi Corsello hanno esplorato i depositi del museo, dove è conservata la collezione permanente, selezionando centinaia di dipinti che documentano una stagione della pittura italiana tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta ancora piuttosto inesplorata. In quel periodo il Comune di Roma ha arricchito le proprie collezioni attingendo spesso a mostre-concorso, rassegne, premi, donazioni di associazioni o enti assistenziali, che hanno permesso di documentare una generazione di pittori che hanno rivolto il loro sguardo al paesaggio italiano, agli interni e ai ritratti, muovendosi nel solco della tradizione figurativa nel Novecento, mentre le avanguardie indagavano altri linguaggi sperimentali. Il loro lavoro testimonia la persistenza della figura nella pittura, non scevra da un senso nostalgico.
Cuoghi Corsello costruiranno un dialogo aperto tra i dipinti, cucito da una installazione al neon prodotta per l’occasione: un filo di luce che solcherà lo spazio espositivo, animato attraverso una composizione di suoni ideata dagli artisti. Il suono accenderà il neon, che si trasformerà in un fulmine, per irradiare i dipinti estratti dalla collezione del museo.
Biografie
Simone Berti, vive e lavora a Bruxelles. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera, alla Kingston University-Multimedia Department a Londra e il Corso Superiore di Arti Visive alla Fondazione Ratti a Como con Joseph Kosuth, ha esposto il suo lavoro in gallerie e musei, partecipando a mostre internazionali di prestigio come Fare Mondi / Making Worlds, 53a Biennale di Venezia (2009); Egofugal – 7a Biennale di Istanbul (2001); Borderline Syndrome: Energies of Defence, Manifesta 3, Ljubljana (2000). Nel lavoro di Simone Berti, tutto parla d’incompletezza: gli arti (sia umani sia animali) hanno bisogno di essere sostenuti e puntellati, i corpi stanno insieme grazie a giunture e protesi, le macchine funzionano spesso a vuoto e soltanto grazie a sistemi di assemblaggio che appaiono complessi, rudimentali e pericolanti.
Cuoghi Corsello, artisti basati a Bologna, lavorano in coppia dal 1986. Noti per i loro interventi di street-art realizzati in mezza Italia – Pea Brain, CaneK8 e SUF sono le loro icone più diffuse – operano su più fronti, dalla musica alla video-animazione, dall’installazione al graffito, dall’adesivo al writing (hanno creato tra l’altro la facciata simbolo del Link Project nel 1995). I loro lavori sono stati presentati in gallerie e centri italiani e stranieri: a Bologna, oltre ogni angolo della città, nella storica galleria Neon, alla Galleria d’Arte Moderna e a MAMbo, e nei diversi loft/studio che hanno custodito nel corso degli anni (dalla prima fabbrica occupata Il Giardino dei Bucintori, gli ex Magazzini Generali Raccordati della Banca Del Monte, all’ex Concessionaria FIAT). La storia musicale di Cuoghi e Corsello inizia a Bologna dagli anni ’80. Claudio Corsello ha iniziato a sperimentare molto giovane con diverse formazioni tra cui i due gruppi musicali dei quali Cuoghi e Corsello hanno fatto parte: cavalla cavalla e RN.
Artisti in Residenza. Mostra Finale – Francesca Ferreri e Marco Gobbi
Spazio Area
Con il progetto “Artisti in residenza” il MACRO si conferma importante centro di produzione artistica, consolidando la propria attenzione alla scoperta e alla promozione dei nuovi talenti. In mostra le opere prodotte durante il periodo di residenza presso il MACRO dagli artisti vincitori del bando 2016-2017: Francesca Ferreri e Marco Gobbi.
Durante i sei mesi di residenza presso la sede di via Nizza, tra l’1 marzo e il 31 agosto 2017, ciascun artista ha avuto a disposizione uno studio – per la durata di due mesi – e di un alloggio – per sei mesi – che, oltre a essere il luogo di lavoro dove i vincitori hanno realizzato i propri progetti, è diventato anche spazio d’incontro con curatori, critici e operatori del settore.
Francesca Ferreri, nata a Savigliano (CN) nel 1981 e residente a Torino, lavora sul parallelo fra la pratica archeologica e la pratica artistica. Partendo dall’assemblaggio di oggetti trovati, oggetti di uso comune, deodoranti, giocattoli o suppellettili, Ferreri colma i ‘vuoti’ saturandoli con gesso pigmentato, come se si trattasse di un’accelerazione di deposito. Colmata la lacuna, gli oggetti di partenza e la materia di connessione sono così stabilmente uniti in una formazione quasi fossile.
Come l’archeologo, l’artista è costantemente alla ricerca di quell’attimo di sorpresa, che si manifesta a seguito di una scoperta inaspettata: le forme e gli aspetti cromatici sono quasi “suggeriti” dagli oggetti stessi, attivatori del processo che si avvicina alla pratica di restauro, di cui l’artista ha fatto esperienza per anni e che ha informato il suo personale approccio alla scultura. Ferreri presenta al MACRO il progetto “Origini della geometria”, un dittico scultoreo che prosegue la riflessione sulla contraddizione fondamentale fra unità e molteplicità.
Il lavoro di Marco Gobbi, nato a Brescia (BS) nel 1985, vive tra Venezia e Francoforte, inizia da un mero interesse per un materiale, una storia, un oggetto, da cui l’artista è attratto spesso perché uno spazio è vuoto, manca un tassello o vi è la possibilità di nuove connessioni.
Attraverso queste mancanze Gobbi si avvicina all’oggetto, riduce la mancanza che ci separa da esso, dando una forma riconoscibile a quel sentore di assenza, di incompleto.
Il progetto presentato al MACRO, dal titolo “Vertical circumnavigation”, rappresenta una nuova fase di una ricerca dedicata ai palazzi storici di Venezia, di cui l’artista indaga le superfici erose dall’acqua, elaborando forme che gli permettono di affrontare diversi ritmi e dimensioni temporali. A seguito della realizzazione di un calco attraverso la tecnica del frottage, Gobbi ha riprodotto a merletto il disegno, servendosi di alcuni punti di cucitura ad ago chiamati Sacolà, Greco e punto Burano, tipici dell’isola di Burano.
Nella seconda fase della residenza, l’artista ha lavorato sulla possibile connessione tra la città di Venezia e la leggendaria Atlantide (anch’essa costruita sull’acqua) usando una tecnica semi artigianale utilizzata nelle zone balneari per la creazione di souvenir: attraverso la frapposizione di strati di sabbia colorati all’interno di contenitori trasparenti, Gobbi ha realizzato scene che evocano gli enigmi delle città sommerse e i misteri di certa archeologia che si muove tra documento e ricostruzione ipotetica del passato.
SEGNALI DI FUMO
Macro Mattatoio
Padiglione 9A
In mostra nove artisti – Cyprian Gaillard, Laurent Grasso, Paolo Icaro, Ann Veronica Janssens, Giovanni Ozzola, Claudio Parmiggiani, Reynold Reynolds, Gavin Turk e Pae White – che propongono una selezione di oltre tredici opere di grandi dimensioni, fra cui installazioni site specific e ambientali, incentrate sul tema del fumo come stato alternativo di percezione della realtà.
Gli artisti hanno scelto di utilizzare il fumo come metodo di creazione, strumento attraverso cui leggere e osservare il mondo, elemento percettivo per offrire nuove prospettive artistiche, consentendo di cogliere diverse angolazioni da cui appunto percepire la luce, l’immagine, l’oggetto e il suono. Così in alcuni casi il fumo è il paesaggio, in altri una modalità di percezione, in altri ancora un luogo di situazioni evocative.
Si inizia con Giovanni Ozzola, il più giovane artista della mostra, con l’opera “Studio-Nuvola” tramite cui crea un rapporto psicologico con i paesaggi e gli elementi della natura. A seguire, le storiche opere di Paolo Icaro in cui il fumo fa prima da sfondo a eleganti disegni che ricordano calligrafie orientali, divenendo, successivamente, azione attraverso leggerezza e dinamismo. La mostra prosegue con Claudio Parmiggiani, artista che riserva al fumo un preciso spazio: attraverso l’azione di riempire i vuoti, l’artista genera una dialettica tra il presente e l’assente, creando uno stato evocativo del tempo. Nell’area centrale del Padiglione si pone l’istallazione di Ann Veronica Janssens, che da oltre vent’anni sperimenta l’uso della luce in particolari condizioni in cui la percezione cambia. Nei lavori di Janssens si entra in uno stato sensoriale all’interno di un paesaggio in cui il vuoto acquista una sua fisicità. Una lettura più “urbana” è invece data da Laurent Grasso che, attraverso l’uso del computer, ricrea una nuvola artificiale che attraversa indisturbata le vie di una città. Grasso usa spesso il concetto di moto, come l’altro artista francese in mostra, Cyprian Gaillard, che nella sua creazione, come in un’opera di Beckett, ci pone di fronte all’attesa di un treno, che però non arriverà. E Beckett è ancora presente in “Burn” di Reynold Reynolds, realizzato insieme a Patrick Jolley. Il breve film mostra la vita di una famiglia tra le fiamme di un fuoco perenne, che non sembra disturbare in alcun modo il quotidiano svolgimento delle vita casalinga. I protagonisti del video sembrano figure abbandonate e annoiate, ripetitivi nello svolgere le loro azioni, nonostante tutto attorno a loro stia bruciando. Un grande inno alle volute eleganti del fumo è proposto da Pae White. Fissando nella sua ricerca il fragile equilibrio tra il fisico e l’effimero, l’artista trova un rapporto magistralmente costruito attraverso la tecnica dell’arazzo, creando suggestive immagini con una loro precisa fisicità. Infine, nell’opera “Parapraxis” Gavin Turk usa il fumo per evocare delle situazioni immaginarie nello spazio: quasi come un fantasma, la colonna di fumo suggerisce possibili entità, volti e figure che appaiono e scompaiono nella dinamica forma generata dal fumo. Un modo per costruire un’infinita gamma di storie che l’artista riesce a bloccare e ritrarre.
Franca Pisani – Codice archeologico. Il recupero della bellezza
Presso MACRO Testaccio
Padiglione 9B
Mostra personale dell’artista toscana Franca Pisani in contemporanea con la partecipazione alla “57a Biennale d’arte di Venezia”, dove le sue opere sono parte integrante di una mostra dedicata a Palmira “la Sposa del Deserto”.
Attraverso 47 opere – tra affreschi, quadri, istallazioni e ben 10 “teleri” – la mostra testimonia l’approfondito lavoro di studio di Franca Pisani sulla memoria di alcuni elementi primordiali della storia dell’umanità.
L’esposizione si articola su quattro livelli e propone al visitatore una sorta di viaggio emozionale alla ri-scoperta di quattro siti archeologici di importanza fondamentale – Hatra, Nimrud, Bamiyan e Palmira – che hanno tracciato la storia comune di tanti popoli. Completata dal catalogo di Maretti Editore – sul quale trovano spazio sia la presentazione del curatore Duccio Trombadori, sia il saggio critico di Cristina Acidini, già Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino – la mostra rappresenta non solo il personale esordio dell’artista nella Capitale, ma anche una nuova tappa del ciclo di appuntamenti artistici denominato proprio “Recupero della Bellezza”.
TELERI: IL RECUPERO DELLA MEMORIA
Nel percorso espositivo della mostra di Franca Pisani, l’omaggio ai quattro antichi siti archeologici è affidato a dieci “teleri.
Il “telero” è un supporto tipico dell’arte veneziana del ’400 e del ’500: il termine deriva dalla parola veneta teler che significa telaio. Sono grandi tele (ma senza il tipico riquadro ligneo) posizionate direttamente al muro. Sono famosi quelli di Carpaccio, Tintoretto, Palma il Giovane, Veronese e naturalmente Tiziano. Il “telero” è di lino, che per le sue preziose qualità risultava il preferito dagli artisti. Erano lasciati grezzi e non sbiancati per consentire una migliore adesione dei colori, seppur di uno strato sottilissimo. La scelta di Franca Pisani di questa antica arte consente oggi sia un’indagine nella tradizione, sia un confronto drammatico con le regole che la necessaria forza espressiva impone per questi grandi oggetti d’arte. Il risultato è una sorta di incanto che la location romana rende più coinvolgente.
I QUATTRO LIVELLI
Per il ciclo di quattro livelli previsto nella mostra personale, per lo spazio del MACRO Testaccio Franca Pisani ha appositamente dipinto con ossidi e lacche dieci “teleri” di lino cotto, che misurano 3×4 metri.
Il primo livello è un’installazione dove Nomade anziano ci conduce idealmente in Afghanistan, nella Valle di Bamiyan vicino Kabul, ovvero il sito archeologico che era caratterizzato da due Buddha giganti scavati nella roccia, oggi non più visibili poiché distrutti dalla furia umana.
Nel secondo livello Nomade Vento fa compiere al visitatore un’incursione in Iraq, nel sito di Hatra Mosul, vicino Baghdad. Fino a poco tempo fa qui esistevano sculture raffiguranti tori con teste umane (androcefalo), i Lamassu.
Nomade Adolescente è il conducente del terzo livello, dove il visitatore può rivivere il fascino della città assira di Nimrud di biblica memoria, situata sul fiume Tigri, ricca di suggestione e di riferimenti al nostro passato.
Nel quarto livello Nomade Curioso rivela infine il continuum dell’opera dedicata alla memoria dell’antica città di Palmira ed è rappresentato da L’albero di Pietra – un tronco di frassino in cui è inserito un cilindro in marmo statuario delle Alpi Apuane su cui sono stati scolpiti dei segni primordiali secondo l’antica arte dei marmi e dei graniti – che rappresenta una sorta di leitmotiv dell’attività artistica di Franca Pisani. Unitamente all’istallazione, l’omaggio a Palmira prevede anche due “teleri” dedicati all’antico anfiteatro romano.
QUINTO E ULTIMO CICLO: LA RINASCITA
Integra e arricchisce la proposta di Franca Pisani una doppia versione di Nomade donna, insieme a altri “nomadi” (i precedenti che qui si ritrovano dopo il lungo cammino) e una settima figura che rappresenta “l’uomo nuovo” o “della pace”.
MEMORIA A PEZZI
Lungo tutto l’iter espositivo, l’artista ha scelto di costruire centralmente un atrium di bellezza che si traduce in un percorso di archeologia contemporanea scandito da un migliaio di pezzi marmorei di risulta provenienti dalle cave del Monte Altissimo di Pietrasanta, le stesse utilizzate 500 anni fa da Michelangelo Buonarroti per la facciata della Basilica di San Lorenzo a Firenze, poi rimasta incompiuta. Su una sorta di “pavimento” di polvere di marmo, sono sistemati numerosi pezzi dalle forme più strane, che erano destinati al restauro o alla costruzione di famose moschee e minareti, ma anche di chiese e biblioteche; tutto il materiale lapideo è stato messo a disposizione dalla Fondazione Henraux di Querceta (vicino Forte dei Marmi) i cui responsabili hanno “sposato” con entusiasmo l’idea di Franca Pisani di concedere una “seconda vita” – seppur limitata nel tempo – a questi reperti archeologici contemporanei, in stretta connessione con i “teleri” dedicati ai siti simbolo del nostro passato comune.
LA MOSTRA IN NUMERI
In definitiva la mostra di Franca Pisani propone all’attenzione del visitatore:
· 10 teleri 400×300 centimetri dedicati ai siti di Palmira, Hatra, Nimrud e Bamijan;
· 9 affreschi su seta di Lione;
· 8 marmi su tela 150×100 centimetri;
· 7 Nomadi “il nuovo popolo della pace”;
· 6 affreschi su tela Attraversamenti
· 4 sabbie 150×100 centimetri;
· 1 albero di pietra;
· 1 totem in marmo;
· 1 installazione di marmi bianchi d’Oriente rappresentanti la distruzione dei siti archeologici.
CENNI BIOGRAFICI DI FRANCA PISANI
Franca Pisani nasce a Grosseto nel 1956 da una famiglia di artiste: la nonna Margherita era disegnatrice di ricami per la regina Elena nella tenuta di San Rossore, in Toscana, mentre la mamma Lia è tuttora pittrice.
A nove anni frequenta lo studio dello scultore e pittore Alessio Sozzi. Dopo la maturità artistica si trasferisce a Bologna per approfondire gli studi d’arte alla facoltà di lettere D.A.M.S., diretta da Umberto Eco. Conosce e frequenta Ketty La Rocca, artista inserita nel panorama delle avanguardie artistiche internazionali, che la mette in contatto con Eugenio Miccini, fondatore del Movimento “Poesia Visiva”. Questi porta nei musei e nelle università di tutto il mondo la creazione di Franca Pisani del 1976 Album Operozio.
Nel 1977 è invitata all’inaugurazione del Centre Pompidou dal direttore Pontus Hulten, all’interno del programma su larga scala di scambio artistico culturale, come esporre negli spazi del museo il Salotto di Geltrude Stein, film, poster, performance e Poesia Visiva cioè Album Operozio.
Da quel momento prenderà il via un lungo percorso di esposizioni, tuttora in continua evoluzione, sulla spinta dell’urgenza di sperimentare il suo coerente indirizzo concettuale.
Franca Pisani così espone nel Museo Marino Marini (2008), due volte alla Biennale di Venezia (2009 e 2011), nel Museo Hamburger Bahnhof di Berlino (2013), nella mostra “Dietrofront” alle Reali Poste degli Uffizi (2014), nella mostra “Archeofuturo” nel Museo d’Arte Contemporanea di Palazzo Collicola a Spoleto (2014), partecipa a “Settantotto Ritratti” in pergamena per il libro donnArchitettura (2014), dona il proprio Autoritratto alla Galleria degli Uffizi che entra a far parte della relativa, unica collezione (2015), partecipa all’Expo Milano nel padiglione della Toscana e nel padiglione del Principato di Monaco (2015), espone alla mostra “Desdemona” nel Palazzo di Giustizia di Firenze (2015).
Nel 2016 espone nello spazio culturale Marzia Spatafora di Brescia con la mostra “P.I.S.A.N.I.” e, nello stesso anno, decide di trasferirsi e di lavorare a Pietrasanta, in Versilia.
Nel 2017 espone alla Mostra dell’Istituto Italiano di Cultura a Vienna, alla personale nella Palazzina storica di Peschiera del Garda e partecipa per la terza volta alla Biennale d’arte di Venezia nella mostra “Viva Arte Viva” nel Padiglione della Repubblica di Siria, nella mostra-omaggio a Palmira; quindi il 5 agosto apre a Pietrasanta il suo Studio d’artista e alla fine di settembre inaugura la sua prima personale al MACRO Testaccio di Roma, dal titolo “Codice archeologico – Il recupero della bellezza”.
Renaud Auguste-Dormeuil – Jusqu’ici tout va bien
Presso MACRO Testaccio
Padiglione A
Prima mostra personale in un museo italiano dell’artista francese Renaud Auguste-Dormeuil.
Jusqu’ici tout va bien (Fin qui tutto va bene) è una mostra che lavora sulla qualità enigmatica del tempo, sulla sua natura assillante e sull’incrocio delle sue direzioni, avanti o indietro, che l’arte rende possibile.
La mostra sarà aperta dall’opera Spin.off, ultima produzione dell’artista, composta dalla frase luminosa Jusqu’ici tout va bien, da cui il titolo della mostra. Tracciata da strisce di led e sospesa sul MACRO, l’opera, al tempo stesso sorprendente e spiazzante, invita a guardare l’arte con un
occhio diverso. Il suo messaggio è solo all’apparenza rassicurante: parla di un presente che è immediatamente passato, e non dice nulla sul futuro che è già l’istante successivo, quello in cui distogliamo lo sguardo dalla scritta sospesa sopra di noi. Quest’opera, esposta in anteprima al Macro, verrà poi presentata con frasi differenti nelle successive mostre personali dell’artista che si terranno nel 2018 in Francia: MAMAC – Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Nizza; Musée d’Art Concret di Mouans-Sartoux; F.R.A.C Franche-Comté di Besançon e Musée Denys-Puech di Rodez.
In mostra The day before, serie di dodici lavori che ha reso noto l’artista in Francia: dodici mappe di cieli stellati che hanno illuminato altrettanti luoghi del pianeta la notte precedente un micidiale attacco aereo: il cielo sopra Hiroshima il 5 agosto del 1945, le stelle sopra Baghdad la notte del 15
gennaio del 1991, quelle di New York il 10 settembre 2001, e così via. Un’occasione unica per poter vedere i dodici cieli esposti tutti assieme (l’ultima volta al Palais de Tokyo, Parigi, nel 2006).
In mostra anche l’installazione dal titolo When the paper, ispirata ad un rituale giapponese: un cerchio di otto metri di diametro di terra, con al centro un tavolino con dei foglietti e un secchio pieno d’acqua. Il visitatore è invitato a mettere nero su bianco un dolore, o un malessere presente o passato, per poi gettarlo nell’acqua dove si dissolverà, e con esso il testo e la causa che lo ha generato. Quest’installazione-performance è il primo incontro con la realtà di un tempo interiore e la possibilità di modificarne il verso.
Un tema che riverbera anche nell’altra grande installazione intitolata Starship, nella quale le bardature funerarie dei cavalli formano uno scenario surreale quasi carnevalesco creando una sospensione temporale: l’attesa della morte e delle cerimonie che l’accompagnano.
Al MACRO l’artista presenterà anche il video Quiet as the grave, una manipolazione in postproduzione del film Vertigo (1958) di Alfred Hitchcock. Mentre tutte le scene di dialogo e tutte le parole sono state tagliate, restano tra i protagonisti un succedersi di sguardi ansiosi, sospiri, mute suppliche, creando anche qui uno sviluppo temporale di senso anomalo, privo di quella linearità conseguenziale di cause ed effetti che consentono l’interpretazione logica della storia.
Spinto dalla convinzione che l’arte sia visibile tanto nei luoghi deputati come in quelli pubblici e comuni, Auguste-Dormeuil presenterà anche un secondo evento fuori dal museo (19 ottobre, tbc), I will keep a light burning: mille candele allestite nello stadio delle Terme di Caracalla a formare una vera e propria mappa stellare del cielo di Roma come si presenterà sopra allo Stadio esattamente 100 anni dopo. Per la performance, collegata alla We run Rome, rinomato ed importante evento sportivo della Capitale, alcuni atleti famosi e noti a livello mondiale, compieranno assieme all’artista il rituale dell’accensione delle candele. Un modo per sancire, ancora una volta, che solo con l’arte è possibile andare avanti e indietro nel tempo perché stavolta è la capacità di proiettarsi nel futuro ad essere in atto.
La mostra è sostenuta dalla Fondazione Nuovi Mecenati, Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea – nell’ambito della Francia in scena, stagione artistica dell’Institut Français Italia – e da Total E&P Italia Spa.
Renaud Auguste-Dormeuil è nato a Parigi nel 1968. I suoi lavori sono stati esposti in numerose mostre personali sia in Francia che all’estero: Fondation Ricard pour l’Art Contemporain, Paris (2014); Musée d’Art Contemporain du Val de Marne (MACVAL) (2013); Palais de Tokyo, Paris (2006); Fondation Caixa à Barcelone, Espagne (2005); Swiss Institute – Contemporary Art, New York City (2004).
Negli ultimi vent’anni ha partecipato a numerose mostre collettive sia in Europa che all’estero: Centre Georges Pompidou (Parigi), Espace culturel Louis Vuitton (Parigi), Biennale di San Paolo (Brasile), Museo d’Arte Moderna (Mosca), VOX (Montréal – Canada), Helsinki Photography Festival (Finlandia),
Contemporary Art Centre (Vilnius – Russia), Bucharest international biennal of contemporary art (Romania), Museo de Arte Contemporaneo de Rosario e Centro cultural Recoleta di Buenos Aires (Argentina), General Foundation di Vienna (Austria), Junge Akademi des Künste (Berlino), ed anche Swiss Institute di New York (USA).
Le opere di Renaud Auguste-Dormeuil sono presenti in numerose collezioni private e pubbliche come il Fondo nazionale francese di arte contemporanea, il Musée National d’Art Moderne – Centre Georges Pompidou, il MAC/VAL – museo d’arte contemporanea di Val-de-Marne, la Fondazione C.C.F. per la
fotografia, la collezione della Société Générale, ed anche il Neuer Berliner Kunstverein di Berlino. Renaud Auguste-Dormeuil ha anche realizzato opere-performances su commissione in occasione di importanti appuntamenti artistici come la Notte Bianca di Parigi del 2011, l’apertura della FIAC di Parigi (2010, 2011), a Villa Medici (2011) e per la Notte Europea dei musei al Centre Georges Pompidou di Parigi (2014).
Il 30 settembre 2016 Renaud Auguste-Dormeuil ha inaugurato la scultura monumentale dal titolo “From here to there” nel giardino della Fondation François Schneider pour l’art di Wattwiller in Francia commissionatali dalla Fondazione dopo esser stato proclamato vincitore del concorso bandito nel 2014. Il 6 ottobre 2016 Renaud Auguste-Dormeuil è stato invitato al MAXXI (Museo delle Arti del XXI secolo di Roma) per organizzare una serata-performance intitolata “Crossover”. L’artista ha invitato 10 artisti residenti in Italia a “performare” per l’arco di una serata in una sala di cinema durante la proiezione di un film. Questa serata performance è la seconda realizzata dall’artista dopo averla presentata lo scorso anno al Palais de Tokyo.
ORLAN VideORLAN – Technobody
Presso Project room #1 e #2
L’esposizione ripercorre l’intera avventura artistica della nota artista e performer francese ORLAN, dalle prime sculture fotografiche, alle performance registrate su video, fino alle ultime opere che usano la realtà aumentata e il 3D. Sarà inoltre sperimentato per la prima volta in Italia “Expérimentale Mise en jeu” (2015-2016), uno spettacolare video gioco con installazione interattiva.
Un’immersione totale che riporta nella Capitale l’artista francese a vent’anni dalla mostra antologica “ORLAN a Roma 1964-1996” allestita da Studio Miscetti e Sala 1.
La mostra al MACRO è caratterizzata da un sorprendente utilizzo del digitale, frutto del recente affacciarsi dell’artista a una realtà virtuale apparentemente opposta e simmetrica alla carnalità dei lavori che hanno punteggiato il percorso di una delle più radicali, innovative, coraggiose artiste europee, capace di cavalcare lo spirito dei tempi con instancabile ricerca.
Per ORLAN, da sempre attratta dal multimediale e da tutti i mezzi che la contemporaneità offre, in realtà il digitale rappresenta un modo diverso di costruire le immagini e di traghettare i temi di sempre (il corpo, la sessualità, gli stereotipi di bellezza, le imposizioni culturali, politiche, religiose, e l’ampia simbologia che va dalla metamorfosi all’ibrido) verso universi più impalpabili, ma non per questo meno potenti.
Léonie Hampton “Mend” – XV Edizione Commissione Roma / Guy Tillim “O Futuro Certo”
Presso Sala Bianca
E’ la fotografa britannica Léonie Hampton l’artista protagonista della Commissione Roma 2017, che giunta alla sua XV produzione va a costituire un vero e proprio fondo all’interno delle collezioni dei musei civici cittadini. Ad accompagnare la Commissione Roma, la prima retrospettiva italiana dedicata a Guy Tillim, autore sudafricano simbolo del festival presentato a più riprese e protagonista della Commissione Roma nel 2009 e recentemente vincitore del prestigioso HCB Awards.
A partire dal 2003, la Commissione Roma ha commissionato ogni anno a grandi fotografi internazionali un “ritratto” della Capitale in totale libertà interpretativa, confrontandosi con la città in base alla propria estetica e al proprio vissuto. Inaugurata con Josef Koudelka nel 2003, ha visto poi succedersi fotografi come Olivo Barbieri (2004), Anders Petersen (2005), Tim Davis (2013), Marco Delogu (2014), Paolo Pellegrin (2015) fino a giungere alle due Rome Commissions affidate all’americano naturalizzato sudafricano Roger Ballen e all’inglese Simon Roberts nel 2016. Oltre ai fotografi che hanno lavorato alla Commissione Roma, il progetto ha visto coinvolti nel tempo molti altri autori tra cui Martin Bogren, David Farrell, Matthew Montheith, Hans-Christian Schink, David Spero, Pieter Hugo, Juan Fabuel, Agnes Geoffray e Miguel Rio Branco tra gli altri.
Note biografiche
Léonie Hampton è una fotografa britannica conosciuta e apprezzata soprattutto per l’approccio molto intimo con il quale interagisce con i suoi soggetti, quasi esclusivamente nuclei familiari. Nuclei, questi, con cui Leonie entra in contatto molto diretto, insinuandosi nella loro quotidianità, quando il nucleo familiare oggetto delle sue indagini non è quello di cui essa stessa fa parte, come invece accade nella sua serie The Shadows of Things, in cui l’artista affronta i disturbi ossessivi compulsivi della madre.
Léonie viene a Roma accompagnata dalla sua giovane famiglia e si è avventurata nella città guidata dagli Stalkers, un gruppo artistico riconosciuto per la sua enciclopedica conoscenza dei luoghi meno noti di Roma – i suoi edifici ed i progetti urbanistici incompiuti, gli ampi spazi abbandonati che ritornano alla flora selvaggia e agli animali, ed i villaggi temporanei che sorgono sulle rive del Tevere, abitati da migranti intrappolati in un limbo legale. Concentrando la sua indagine sull’eredità di questi luoghi, le immagini di Léonie pulsano di un’energia misteriosa e sembrano descrivere un mondo sull’orlo del collasso eppure ancora brulicante di vita. Quella che ne è emerge è un’archeologia del contemporaneo che apre agli interrogativi su ciò che è accaduto in questo mondo e se ciò possa contenere gli indizi di cosa accadrà in un futuro prossimo.
Guy Tillim è un fotografo sud-africano principalmente conosciuto per i suoi lavori incentrati sulle regioni turbolenti dell’Africa sub-sahariana e che molta attenzione ha dedicato a Johannesburg e le sue tensioni, città di cui è originario.
Vincitore con il suo ultimo progetto, Museum of the Revolution, del prestigioso HCB Award istituito dalla Fondation Henri Cartier-Bresson, quest’anno tornerà al MACRO di Roma per la sua prima retrospettiva italiana. Autore importante più volte in mostra a Roma dove ha collaborato assiduamente a FOTOGRAFIA; la prima volta nel 2006 con Petros Village, per poi ritornare nel 2009 chiamato proprio dalla settima edizione della Commissione Roma grazie alla quale ha prodotto Roma, città di mezzo. Ha poi ripreso parte al festival sugellando una grande e duratura amicizia esponendo Second Nature – Polynesia nel 2013 e poi nel 2015 i ritratti in bianco e nero dei miliziani della Mai Mai Militia. Tutti questi lavori, insieme al progetto vincitore dell’HCB Award e a fotografie provenienti da Leopold and Mobutu (2004), Congo Democratic (2006), Second Nature – Sao Paulo (2012), Joburg: Points of View (2014), Edit Beijing (2017) e molti altri lungo tutta la carriera dell’artista, saranno per la prima volta esposti in dialogo tra loro al MACRO di via Nizza nella mostra retrospettiva O Futuro Certo.
Laboratorio Prampolini. Disegni schizzi bozzetti progetti e carte oltre il Futurismo
Mostra realizzata in occasione del sessantennale della scomparsa del grande artista futurista Prampolini (Modena 1894 – Roma 1956)
Project Room #2 e Biblioteca
Il progetto espositivo, pensato come un’incursione nel vivo della progettualità prampoliniana, segna il ritorno in un museo romano di Prampolini a distanza di più di vent’anni dalla grande mostra antologica allestita al Palazzo delle Esposizioni nel 1992.
Nella Biblioteca del MACRO sono esposti oltre 150 documenti provenienti dall’Archivio Prampolini, donato nel 1992 dagli eredi dell’artista al Comune di Roma e conservato presso il Centro Ricerca e Documentazione Arti Visive (CRDAV) del MACRO.
L’archivio custodisce una cospicua raccolta documentale relativa ai molteplici campi di attività di Prampolini: dal teatro alla scenografia, dalla riflessione teorica alla produzione di scritti e manifesti, dalla partecipazione e organizzazione di mostre al ruolo svolto come promotore e organizzatore culturale, dall’attività di critico all’insegnamento. Molte le lettere che testimoniano i contatti di Prampolini con numerosi esponenti della cultura italiana ed estera.
Le carte in mostra, appunti, schizzi, note e minute, in gran parte inedite, sono suddivise in cinque sezioni: Prampolini teorico e disegnatore: testi, schizzi, bozzetti e grafica – Nel teatro e nella scenografia di Prampolini – Picasso (ri)visto da Prampolini – Lettere e cartoline dall’arte – Prampolini e Capri.
La mostra si sviluppa inoltre negli spazi della Project Room #2 al primo piano del museo, presentando una serie di lavori, in parte inediti, realizzati da Prampolini tra la metà degli anni venti e i primi anni cinquanta del secolo scorso: schizzi, disegni, taccuini contenenti appunti visivi, progetti architettonici e allestitivi, che, insieme a una selezione di bozzetti e figurini realizzati da Prampolini per il Teatro dell’Opera di Roma – rispettivamente per gli spettacoli Il castello nel bosco del 1931, La Tarantola del 1942 e Bolle di sapone del 1953 – raccontano da vicino la poliedricità del linguaggio prampoliniano e restituiscono in pieno il senso di una ricerca costantemente rivolta alla sperimentazione e all’applicazione in campi diversi, dal disegno alla pittura, dalla scenografia teatrale all’architettura, accompagnando lo spettatore all’interno di un percorso artistico colto nel vivo della sua evoluzione in una fase storica cruciale – quella compresa tra gli anni Trenta e l’immediato secondo dopoguerra – nell’ambito della sperimentazione artistica italiana e internazionale.
Lia Drei / Francesco Guerrieri. La regola e l’emozione 1962-1973
Project Room #1
L’esposizione rende omaggio a Lia Drei (Roma 1922-2005) e a Francesco Guerrieri (Borgia 1931-Soverato 2015), compagni nella vita e nell’arte, che lungo gli anni sessanta furono protagonisti delle ricerche gestaltiche, programmate e strutturaliste, particolarmente a Roma.
Drei e Guerrieri, insieme a Di Luciano e Pizzo, fondarono infatti il Gruppo 63 (1962-63) e poi, in coppia, il Binomio Sperimentale p. (1963-68). In quegli stessi anni entrambi parteciparono ai fondamentali Convegni internazionali di Verucchio e alle varie mostre-dibattito itineranti del movimento strutturalista.
Sono esposte 27 opere, alcune delle quali inedite, che documentano i modi peculiari della loro ricerca negli anni sessanta per approdare agli inizi dei settanta. Le opere provengono dall’Archivio Drei/Guerrieri, dalla collezione del MACRO e da un’importante collezione privata romana.
Il percorso espositivo è arricchito da taccuini inediti dei due artisti e da una nutrita serie di documenti dell’epoca, fra cui cataloghi, inviti e locandine.
Inoltre verrà proiettato il film di Pierfrancesco Bargellini intitolato “Un modo di farsi l’Arte insieme all’artista” (1970).
Sia Lia Drei che Francesco Guerrieri, pur nelle reciproche differenze, si sono distinti nell’ambito delle ricerche gestaltiche internazionali per la capacità di rendere visibile un’intuizione lirica distillata nella purezza geometrica e rigorosa della forma. Hanno saputo elaborare una tecnica poetica per penetrare in profondità e dare immagine alle correnti dinamiche e all’armonia strutturale dei fenomeni vitali. Del resto l’importanza fondamentale dell’intuizione nel loro processo creativo era stata da loro stessi sottolineata nella Dichiarazione di poetica di Verucchio del settembre 1963: “La ricerca deve avere un suo campo d’indagine, altrimenti non avrebbe ragione d’essere. Nel nostro caso non può che essere ESTETICA. Quindi per quanti metodi rigorosamente logici e scientifici si vogliano adottare, essa non sarà mai rigidamente logica, ma sempre e necessariamente METALOGICA. Ciò non fa scadere il valore della ricerca secondo una valutazione scientifica: molte verità delle scienze e della stessa matematica sono puramente intuitive, perché in molti casi l’intuizione è il solo mezzo di conoscenza dato all’uomo”.
Il catalogo della mostra (Manfredi Edizioni), oltre alle riproduzioni delle opere esposte, agli apparati biobibliografici (a cura di Chiara Ceccucci e Cinzia Folcarelli) e ai documenti, conterrà i saggi di Federica Pirani, Gabriele Simongini, e Antonia Arconti, una testimonianza di Luigi Paolo Finizio e un’intervista del 2013 a Francesco Guerrieri sullo Sperimentale p.
Francesco Cellini. Strumenti e tecniche del progetto di architettura
MACRO Testaccio
Padiglione 9B
La mostra presenta una selezione della produzione architettonica di Francesco Cellini, dai primi anni ‘70 a oggi, e si svolge su due linee parallele.
La prima è di carattere strettamente cronologico e illustra in sequenza i più importanti progetti e le sue principali realizzazioni, documentando alcuni dei più pregnanti episodi di una complessa e meditata attività di ricerca progettuale e professionale svolta lungo quasi cinquant’anni, mettendone a fuoco i caratteri e gli obiettivi.
La seconda si articola su varie tappe di approfondimento, che affrontano, con vari documenti e dettagli (dallo schizzo iniziale, all’esecutivo), alcuni gruppi di opere e, insieme ad esse, le fasi dell’evoluzione dei modi di produzione del progetto di architettura, comprese le relative metodologie, organizzazioni produttive, tecniche e strumenti. Ricorrono alcuni temi, tra cui il radicale funzionalismo, la predilezione, quasi costante, per l’uso di repertori formali elementari, organizzati però in modo da generare uno stato di non pacificata tensione interna, l’attenzione nell’indagine statica e costruttiva. C’è infine una particolare considerazione per la storia dell’architettura, dei contesti, dei tipi e dei luoghi, priva però di ogni automatismo storicistico.
La mostra esplora parallelamente l’evoluzione dei modi, dell’organizzazione e degli strumenti di lavoro, che nel periodo esaminato hanno vissuto la radicale trasformazione dal disegno a mano alla rappresentazione informatica. Si espongono materiali originali, schizzi, appunti e documenti di lavoro, prospettive e modelli, provenienti da vari fondi, tra cui l’Archivio Progetti dello IUAV, l’Accademia Nazionale di San Luca, la Galleria AAM, oltre che da collezioni private e dall’archivio personale di Francesco Cellini.
In coincidenza con la mostra sarà pubblicata la monografia Francesco Cellini, introdotta da un saggio di Francesco Dal Co, edita da Electa-architettura.
Francesco Cellini (Roma, 1944) avvia il proprio studio professionale nel 1964 con Nicoletta Cosentino, con la quale lavora fino alla metà degli anni novanta, per poi proseguire autonomamente e in collaborazione con altri architetti. La sua pratica professionale, basata sin dall’inizio su un atelier di carattere artigianale e di dimensioni contenute, si è progressivamente sviluppata dialogando con altre strutture; fra queste ricorre con grande frequenza, negli ultimi quindici anni, la società Insula, fondata da un gruppo di ex allievi e collaboratori. L’attività, pubblicata su vari libri e riviste, recensita da vari critici ed esposta in numerose mostre nazionali e internazionali, è costituita da più di duecento progetti architettonici e urbani, di varia natura e di diverso impegno, prevalentemente derivanti da incarichi pubblici, ovvero partecipando e qualificandosi vincitore in numerosi concorsi nazionali ed internazionali; un’altra larga parte delle opere gli è stata affidata da molte delle più importanti società di progettazione italiane.
All’attività professionale ha sempre affiancato un impegno didattico svolto nelle facoltà di Architettura della Sapienza di Roma, di Palermo e di Roma Tre, dove per sedici anni ha ricoperto la carica di preside. Ha pubblicato numerosi saggi e monografie di carattere storico-critico, sui temi dell’architettura moderna e contemporanea.
Giorgio Ortona. Nomi, cose e città
MACRO Testaccio
Padiglione 9A
Personale dell’artista Giorgio Ortona famoso per la sua innegabile passione per le palazzine, quelle romane in particolare, e soprattutto quelle poste fra centro e periferia.
Ortona mette in mostra una sorta di vertiginoso censimento di quel visibile metropolitano che costituisce il suo territorio di caccia prediletto. Una specie di ossessione classificatoria che richiama ludicamente, come dice il titolo della mostra, il gioco “Nomi cose e città” che era tanto in voga qualche decennio fa e che per il nostro artista è anche un irresistibile richiamo all’infanzia.
Il nucleo centrale della mostra si basa su una serie di grandi vedute urbane dedicate alle palazzine romane ed ai cantieri. E nellʼallestimento si realizza un coinvolgente cortocircuito dimensionale, visto che le opere esposte vanno dal formato cartolina a quello cinemascope. In una sorta di ideale giro dʼItalia e poi del mondo, compaiono anche vedute, edifici e cantieri di Napoli, Palermo, Il Cairo, Kiev, Nuova Delhi, tutti simili ed anonimi come immagini di un mondo globalizzato ed omologato. È il trionfo di un anonimato quotidiano che rende protagonista solo la pittura, una pittura meticolosa come quella di un pittore antico e fondata essenzialmente sul bisturi analitico e costruttivo del disegno.
Ne emerge, come scrive nel suo saggio in catalogo Gabriele Simongini, “il sublime quotidiano come fatto concreto, con una struttura e uno scheletro, perfino un ritmo. E Giorgio Ortona lo cerca ansiosamente salendo sulle terrazze condominiali con la stessa trepidazione con cui i romantici ascendevano alle vette delle montagne alla ricerca del divino nello spettacolo della natura. A lui, però, agnostico dichiarato, la trascendenza non interessa, pur perseverando nella ricerca di un proprio, personale assoluto che appunto è forma, composizione, struttura, ritmo”.
“Cerco lʼassoluto – dice Ortona – attraverso le forme. E quando mi chiedono di dare una definizione a quel che faccio dico solo che sono un pittore. Non voglio illustrare niente né essere connotato”.
È questo il punto: ad Ortona sta troppo stretta la classificazione di “pittore figurativo”, come si vedrà in mostra. Nellʼinsisterci sopra, nota ancora Simongini, “si limita lʼampiezza pluralista di una ricerca che ha forte analogia con la musica (lo ribadiscono, fra lʼaltro, anche la passione di Ortona per il jazz elettrico, da lui suonato e lʼattenzione maniacale alla composizione, come se la tavola fosse un pentagramma) e con sintetiche componenti astrattive. Se da un lato è inevitabile pensare, solo per fare due nomi fra i più importanti per la pittura di Ortona, alle periferie del secondo dopoguerra di Renzo Vespignani (grande artista scandalosamente misconosciuto) e allo sconvolgente realismo di Antonio Lòpez Garcia, sotto un altro punto di vista è lecito chiamare invece in causa Piet Mondrian, mutatis mutandis, con il suo neoplasticismo musicale ed universale che si chiude e si rinnova al tempo stesso a contatto col diorama metropolitano di New York City”.
In catalogo è pubblicato un saggio di Gabriele Simongini, oltre ad un’ampia antologia critica e alle riproduzioni delle opere esposte.
Nota biografica
Nato a Tripoli nel 1960, Giorgio Ortona si è laureato in architettura all’Università di roma e ha poi seguito un corso internazionale di pittura a Cadice sotto la direzione di Antonio López García. Nel 2011 ha partecipato alla 54°Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia (su segnalazione ed invito di Antonio López García) e nel Padiglione della Repubblica Cubana.
Nel 2012, la sua opera “Cantiere Pantanella”, è stata esposta nella mostra “Dalla Collezione MACRO”, al MACRO Testaccio di Roma.
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Percorso espositivo curato dagli studenti della VI edizione del Master in Management delle Risorse Artistiche e Culturali (MaRAC) promosso dalla Fondazione Roma e dalla Libera Università di Lingue e Comunicazioni IULM
MACRO Testaccio
Spazio Factory
Anish Kapoor
Considerato uno dei maggiori artisti della scena contemporanea, Anish Kapoor torna finalmente ad esporre in un museo italiano dopo oltre 10 anni, con una mostra straordinaria negli spazi del MACRO, a cura di Mario Codognato
Guarda il video teaser della mostra
La mostra testimonia la continua ricerca di Kapoor in ambito formale e concettuale, che ha informato la sua pratica artistica sin dagli esordi, mettendo a confronto i processi altamente ingegnerizzati e più organici della sua opera.
La mostra è caratterizzata da una serie di rilievi e dipinti composti da strati aggettanti di silicone rosso e bianco e pittura, così come da sculture-architetture monumentali, tra le quali la straordinaria “Sectional Body Preparing for Monadic Singularity”, esposta l’anno scorso, all’aperto, nel parco della Reggia di Versailles, e riproposta al MACRO in dialogo con l’architettura del museo.
“Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea” in realtà virtuale
Sala Cinema
Grazie alla realtà virtuale torna al MACRO e riapre al pubblico, per una giornata unica e speciale, la mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea, chiusa lo scorso 2 ottobre 2016. Si tratta di una versione in realtà virtuale, esplorabile attraverso appositi visori Oculus Rift.
Nella Sala Cinema del museo interverranno: le curatrici della mostra Antonella Sbrilli e Maria Grazia Tolomeo, per il museo Pasquale Enrico Stassi; Marisa Giurdanella per l’Ufficio Cultura della Provincia autonoma di Bolzano Alto Adige; Alessandro Rizzi per lo sviluppo della Realtà Virtuale; Nicolette Mandarano, digital media curator per musei e istituzioni culturali; Paola Castellucci docente di Documentazione / Storia e teoria dell’informazione alla Sapienza e Francesco Palumbo, Direttore generale del Turismo al Mibact.
La mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea – che per 155 giorni ha scandito il tempo al MACRO di Via Nizza – si è conclusa fisicamente lo scorso 2 ottobre. Le opere sono state staccate dalle pareti e tolte dalle teche, le installazioni smontate, eppure qualcosa – oltre al catalogo e alle tante foto e interazioni sui social network – rimane di questa mostra che ha abitato e animato la Sala Bianca al primo piano del museo.
Si tratta di una versione in realtà virtuale, esplorabile attraverso appositi visori Oculus Rift, che consente di muoversi negli spazi della mostra, girare intorno alle installazioni, fermarsi sulle pareti, avere una visione d’insieme e di dettaglio di circa venti opere fra quelle esposte. Un percorso che consente di ricollocare ogni opera nel luogo in cui si trovava, di coglierne le relazioni di vicinanza con le altre, il dialogo che si percepisce durante una visita museale. Una connessione che l’esplorazione virtuale può di nuovo suggerire, ponendosi come veicolo attraverso cui serbare la memoria di un evento temporaneo, come appunto una mostra.
Realizzata in collaborazione con la Ripartizione Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, la versione in Realtà Virtuale della mostra romana è visitabile presso il Centro Trevi di Bolzano (via Cappuccini 28), fino al mese di maggio 2017, all’interno dei progetto multimediale Il Cerchio dell’arte, giunto alla IV edizione: un progetto di mostre modulate fra reale e virtuale, che propongono continue sperimentazioni sugli scambi fra arte, tecnologie, comunicazione e didattica, con utilizzo di proiezioni immersive, tavoli touch, tablet e realtà virtuale. La mostra in corso fino a maggio 2017, Tempo e denaro (a cura di Antonella Sbrilli e Maria Stella Bottai, realizzata in collaborazione con Macro e Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo della Sapienza), indaga un ulteriore aspetto del tempo nell’arte contemporanea, legato al denaro e alla finanza, creando un ideale dialogo a distanza tra le due sedi espositive del Macro di Roma e del Centro Trevi di Bolzano.
Realizzazione tecnica: Smart3K di Trento con Practix S.r.l. di Rovereto
Nel pomeriggio del 24 gennaio, sarà possibile per un numero limitato di visitatori visualizzare la Realtà Virtuale con gli appositi occhiali Oculus Rift in una postazione davanti alla Sala Cinema.
Per gli allievi dei corsi di laurea storico-artistici del Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo della Sapienza, la presenza alla presentazione vale per l’acquisizione di crediti formativi nelle Altre Attività formative (informatica umanistica).
Rafael Y. Herman – The Night Illuminates The Night
Padiglione 9A
Mostra personale di Rafael Y. Herman, che si presenta come una grande installazione ambientale in cui dallo spazio buio emergono le opere che si rivelano come epifanie. Nella dialettica fra tenebre e luce, infatti, si sviluppa la poetica di Rafael Y. Herman il cui sguardo rivela un nuovo approccio alla realtà che nasce e si struttura nell’oscurità.
The Night Illuminates The Night si concentra sul lavoro cominciato nel 2010 e completato nel 2016. In questo periodo l’artista ha stabilito un dialogo con i grandi maestri della tradizione occidentale che hanno rappresentato nel corso dei secoli la Terra Santa, pur non avendola mai visitata, ma ispirandosi alle fonti bibliche e letterarie. Rafael Y. Herman ripercorre questa tradizione con il proprio metodo: lo scatto notturno senza ausili elettronici e manipolazioni digitali, che svela ciò che non si vede a occhio nudo. Come i grandi maestri del passato, anche Herman si è voluto porre nella condizione di non poter vedere il paesaggio, pur trattandosi dei luoghi dove è nato e cresciuto, operando nell’oscurità della notte. In questa condizione di voluta cecità l’artista accede alla realtà in un modo nuovo, mediante lo scatto fotografico notturno e mediante lo sviluppo della pellicola nell’oscurità del laboratorio.
Rafael Y. Herman produce così una realtà “ricreata”, decontaminata da qualunque preconcetto soggettivo, offrendo allo spettatore paesaggi che esistono solo nelle opere stesse. L’artista sviluppa la propria ricerca notturna attraverso la scoperta di tre diversi ambienti: la Foresta della Galilea, i campi dei Monti della Giudea e il Mar Mediterraneo. Le sue immagini ci invitano a riflettere sull’invisibile o, come l’artista usa definirlo, il “non visto”; sulla differenza che si dischiude fra ciò che è reale e ciò che invece è solo percepito. Il risultato è straordinario nella cromia innaturale, e nelle forme evanescenti che sembrano emergere da un luogo e un tempo altro dove i colori non sono reali, il tempo sembra essere dilatato e le immagini appaiono oscure. O forse abbaglianti.
In occasione della mostra verrà presentato il libro d’artista, edito da Mousse, con testi critici di Giorgia Calò, Stefano Rabolli Pansera, Chiara Vecchiarelli e Arturo Schwarz.
Biografia
Rafael Y. Herman nasce nel 1974 a Be’er Sheva, un’antica città nel deserto israeliano del Negev. Inizia a studiare musica classica all’età di sei anni e diventa percussionista. Dopo una permanenza a New York, si iscrive alla Facoltà di Economia e Management dell’Università di Tel Aviv. Dopo la laurea si trasferisce in America latina, dove compie un lungo viaggio di ricerca in sette paesi: in Paraguay collabora con Amnesty International, studia pittura a Città del Messico e in Cile entra a far parte di una comune di artisti. In questo apprendistato della visione confluiscono tanto le esperienze metropolitane quanto l’incontro con la natura selvaggia. Nel 2003 si trasferisce a Milano e nel 2006 espone a Palazzo Reale il progetto Bereshit-Genesis, applicando un metodo messo a punto da lui stesso: lo scatto notturno senza ausili elettronici e manipolazioni digitali, che svela ciò che non si vede a occhio nudo. Questa mostra proietta Herman verso una dimensione artistica internazionale. Nel 2012, il ritratto di John Chamberlain realizzato da Herman è scelto dal Guggenheim Museum di New York per la seconda di copertina del libro di Chamberlain “Choices”. Nel 2013 è invitato alla TED Talk per parlare del suo linguaggio artistico con un talk dal titolo “Realtà alternativa”. I suoi lavori recenti evidenziano due temi portanti: la curiosità metafisica e il racconto di ciò che sta oltre; l’indagine sulla luce come elemento fisico protagonista dello spazio-tempo. Sue opere sono state acquisite da importanti collezioni pubbliche e private, fra le quali di Tel Aviv Museum of Art e Salsali Private Museum di Dubai. Attualmente vive e lavora a Parigi, dove è per la seconda volta artista residente alla Cité Internationale des Arts de Paris. Nel 2015 ha vinto il Praga Fotosfera Award.
Li Chevalier – Trajectory of Desire
Foyer 2, Teatro Studio 2
Mostra dell’artista franco cinese Li Chevalier nell’ambito del progetto From La Biennale di Venezia & OPEN to MACRO. International Perspectives, ideato e curato da Paolo De Grandis e Claudio Crescentini, dedicato alla presentazione presso gli spazi del MACRO di alcune installazioni internazionali provenienti dall’Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia.
In occasione della quarta tappa, il progetto è stato esteso ad OPEN – Esposizione Internazionale di Sculture ed Installazioni, piattaforma artistica collegata alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, nell’intento di ampliare ulteriormente la selezione d’installazioni, con maggior respiro internazionale.
La ricerca di Li Chevalier è una ricerca estetica laddove l’estetica è il valore delle cose, svela la verità del mondo. La contraddistinguono l’eleganza e la raffinatezza di tecnica e installazione. Quando Li Chevalier lascia Pechino per Parigi la sua arte approda in una nuova dimensione dove la tradizione cinese si nutre di un contesto squisitamente occidentale che non finisce mai per assorbirla totalmente ma semplicemente la sfiora e la rende più articolata. Parallelamente la musica, coltivata dall’età di 15 anni, rimane una costante della vita di Li Chevalier; ha infatti cantato come soprano nel Coro dell’Orchestra di Parigi sotto la direzione di Arthur Oldham e Semyon Bychkov. Negli anni ha lavorato con i solisti dell’Opera di Parigi e ha collaborato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale Cinese sotto la direzione di Philippe Jordan ad un evento storico presso l’Opera di Pechino dove il solista violino Fréderic Laroque ha improvvisato una performance di fronte alla sua installazione. Ed è proprio questa passione ad alimentare di una nuova timbrica espressiva le sue installazioni. Tra le sue mostre più significative ricordiamo le esposizioni presso la Royal Academy of Art London Summer Exhibition, il National Art Museum of China, lo Shanghai Art Museum, il Today Art Museum, la National Library of China, il The Sub-Marine Base Contemporary Art Centre Bordeaux France e la State Opera China.
Li Chevalier non ama i confini, i dettami di rigide tradizioni o scuole. È piuttosto la raffinata combinazione di differenti discipline, linguaggi estetici, origini e derivazioni, che dà alle sue opere una vocazione particolare: su una traccia figurata e filosofica, l’artista conduce lo spettatore attraverso incontri misteriosi verso una profonda riflessione sui nostri sistemi di pensiero, oltre qualsiasi tentativo di egemonia artistica. Il suo concetto estetico di bellezza interroga i nessi che modellano il nostro dialogo interculturale. “…Solo la bellezza può generare il desiderio e la sua ricerca…” dice Francois Cheng.
Dopo 5 anni di profonda immersione come cantante lirica nelle compagnie operistiche della Chinese Army, Li Chevalier va alla scoperta delle maggiori capitali europee, abbracciando con entusiasmo l’atmosfera dei mitici templi dell’arte e della conoscenza come il Sciences Po, la Sorbonne University, vari istituti d’arte a Firenze e a Venezia, il London Central Saint Martins College of Art and Design, alla ricerca della verità e della bellezza.
Li Chevalier afferma di essere profondamente contemporanea ma rifiuta appassionatamente i precetti del nichilismo estetico. Le sue opere hanno un carattere primordiale. Nessuna vera emozione può scaturire dal confronto con un’opera d’arte se non attraverso il prisma dell’emozione estetica.
Come sostiene François Cheng, se immaginassimo un universo che fosse solo vero, senza che la bellezza lo tocchi minimamente, si tratterebbe di un universo unicamente funzionale, dischiuso, fatto di elementi uniformi assolutamente intercambiabili. Un universo di “robot” lontano dalla vita.
Al MACRO Testaccio di Roma Li Chevalier presenta “Polifonia”, un’installazione monumentale composta da violini e 30 opere di pittura sperimentale ad inchiostro. La “traiettoria” dell’artista con i suoi dubbi e le sue rivelazioni si estende a Roma e si apre ad un’arte che ricerca la bellezza ma che non si sottrae alla contemporaneità.
Il termine polifonia si riferisce ad una scrittura musicale a più voci, ciascuna con le sue proprie dinamiche. Indica la convergenza di più melodie parallele in un complesso musicale che rispetta i ruoli dell’armonia. La concatenazione verticale dei differenti accordi arricchisce la composizione. L’installazione di Li Chevalier, composta di diversi elementi artistici provenienti da Oriente e Occidente, è un’immagine metaforica del nostro mondo che non può più frenare il suo cammino verso uno spazio “comune”, dove nazioni e civiltà interagiscono, migliaia di storie ed eredità si incrociano.
L’opera intende rendere omaggio alla vitalità creativa nata dagli incontri, dalla tolleranza e da tutti quei valori che rendono l’Europa un terreno fertile per l’espressione e il dialogo.
Luca Padroni – I valori personali
Personale dell’artista romano Luca Padroni, a cura di Claudio Crescentini
Padiglione 9B
Padroni è un accumulatore. Di storie, di scenari, di persone. Tramite diverse tecniche pittoriche scandaglia una realtà dalle mille facce contrapposta alla sua esistenza individuale, mettendo in rapporto luoghi, esseri umani e luci non sempre in contatto tra loro. In questo gioco equilibristico di addizione e sottrazione crea un universo unico dove far convivere amanti tantrici, gatti volanti, colonne romane, passanti alla ricerca di un perché, pini secolari, nascite e morti.
Dagli anni Novanta, dopo la lunga esperienza formativa londinese, Padroni combina la tradizionale pittura ad olio al collage, a forme amorfe di dripping (nei cicli eterei dei paesaggi astrali), fino ad arrivare ad un astrattismo figurativo nella serie dei “Crateri”. La molteplicità delle sue esigenze narrative torna a mettersi alla prova in questi quadri più recenti, fatti su misura per lo spazio del Macro, che partono dagli studi sulla etnica e suggestiva casa di Anna Paparatti (pittrice, scrittrice e viaggiatrice che molto ha significato per la vita culturale della città di Roma, dagli anni Settanta in poi, soprattutto per la sua attività presso la Galleria L’Attico di Fabio Sargentini e come performer del Living Theater di Julian Beck), ma che diventano, in alcune tele, le basi su cui imprimere ricordi, sogni, ossessioni personali.
Ecco che arriva dunque, fa capolino di sottecchi, piano piano, discretamente ma di colpo, come sempre nel suo esplosivo stile espressionista, il titolo della mostra: “I valori personali”: valori raffigurati in azioni, in movimento, in coraggio; personali perché raccontano l’autore stesso (dietro la mano che compie il gesto) ma anche i protagonisti delle storie evocate, che sia un centenario che corre la maratona di Londra, una pittrice dimenticata dai più ma amata da èlite illuminate, un regista che ha fatto di un grande salto la scelta definitiva.
In un’epoca in cui abbiamo tutti bisogno di spazio e precisione, di attenzione e di dettagli, Padroni ci offre, e pretende, il tempo di osservazione della parte di reale che vede il suo occhio. Lo pretende e lo ottiene con la potenza visiva di una grande pittura.
In occasione della mostra verrà presentato un catalogo, con testi critici del curatore, Claudio Crescentini, e Marco Tonelli, Ursula Hawlitschka, Fabiana Sargentini.
Biografia
Luca Padroni (Roma 1973) si è formato presso il Kent Institute of Art and Design, The Slade School of Fine Arts di Londra, The School of the Art Institute of Chicago e, attraverso una borsa di studio Fulbright, il San Francisco Art Institute. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Tra quelle presso le Istituzioni pubbliche ricordiamo: Ortus Artis e Fresco Bosco, a cura di Achille Bonito Oliva, Certosa di San Lorenzo, Padula (2008); Mythos, Miti e Archetipi nel Mediterraneo, a cura di Renato Miracco, Museo Bizantino e Cristiano, Atene (2007); Fuori Tema, XIV Edizione della Quadriennale di Roma, Galleria Nazionale, Roma (2005); Milano Africa, a cura di Marina Mojana, Fabbrica del Vapore, Milano (2005). Fra le mostre più recenti ricordiamo: Altri tempi, Altri Miti, Montoro12 Contemporary Art, Roma (2016); Unioni Civili, Galleria L’Attico, Roma (2016); Casa di Anna, CR Arte Palazzo Taverna, Roma (2015); Tempo Spazio Movimento, Galleria Espace Gaia, Geneve / CH (2013); Biografie Visionarie, Galleria Wunderkammern, Roma (2012); Fuoco cammina con me, Galleria Il Segno, Roma (2010); Terra!, Galleria Trecinque, Rieti (2010); Oltre il Trompe l’Oeil, Galleria L’Attico, Roma (2010); Fault Lines, Galleria Testori UK, Londra / UK (2008); Transiberica, Galeria La Aurora, Murcia / Spagna(2007); Pittori al Muro, Galleria L’Attico, Roma (2006); Tran-Tram, Galleria Oddi Baglioni, Roma (2005). Nel 2013 è stato selezionato dal Comune di Roma per decorare le pareti di alcune sale dei Musei Capitolini, Palazzo Nuovo, pianoterra. Attualmente l’artista vive e lavora a Roma.
Francesca Leone – Giardino
Project Room #2
Dopo il successo ottenuto l’anno scorso alla Triennale di Milano, arriva a Roma la mostra personale di Francesca Leone. Diciotto grate di alluminio a comporre un’unica installazione, con lo spettatore che interagisce con l’opera camminando su una grande piattaforma.
L’installazione è stata realizzata con il contributo inconsapevole di centinaia di persone che hanno sparso per le strade rifiuti e oggetti. Dalle fessure delle grate emergono le testimonianze del loro passaggio: mozziconi di sigarette, plastiche, sassi, carta, chiavi, rifiuti e monete sono il racconto di storie quotidiane e di un tempo fermato.
Il lavoro dell’artista romana, tra realtà e denuncia con un’attenzione profonda ai temi dell’ambiente e dell’ecosistema, rispetto all’installazione milanese, si arricchisce di tre grandi opere in cemento frutto del lavoro di approfondimento e ricerca che la Leone ha continuato a fare dopo la mostra alla Triennale. Inoltre, a rendere ancora più unico il progetto, è la scelta dell’artista di fare un libro-opera, edito in 150 copie firmate e numerate, con testo di Danilo Eccher: un’opera nell’opera in cui una piccola grata diventa uno scrigno.
“Giardino” è una mostra complessa che sfrutta la ruvidità di un linguaggio essenziale, crudo, violento, per esprimere una poesia della quotidianità; una mostra che realizza un allestimento minimale, capace di utilizzare la scenografia asettica delle sale museali per comporre una recita di assoluto realismo.
All’ingresso del Museo, per tutta la durata della mostra, sarà posta una grande grata dove i visitatori potranno contribuire a realizzare la “loro” opera inserendovi piccoli oggetti di scarto.
Nota biografica
Francesca Leone nasce a Roma dove vive e lavora. Inizia la sua attività espositiva nel 2007 con una mostra ai Musei Capitolini, alla quale segue la sua prima personale dal titolo Riflessi e riflessioni al Loggiato di San Bartolomeo di Palermo nell’aprile del 2008. Alla fine dello stesso anno Palazzo Venezia a Roma le dedica una mostra personale dal titolo Primo Piano che sarà replicata nel 2009 a Castel dell’Ovo a Napoli. Nello stesso anno è invitata a esporre al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea (MMOMA) di Mosca e nominata Membro Onorario dell’Accademia Russa delle Belle Arti. Partecipa alla Biennale di Venezia nel 2011 e nel 2013. Nel 2014 è protagonista di tre personali al MAC – Museo di Arte Contemporanea di Santiago del Cile, al MACBA – Museo di Arte Contemporanea di Buenos Aires e al Museo dell’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo. Nello stesso anno è presente al PAN – Palazzo delle Arti di Napoli con la mostra Corpo Terra. Il 2015 si apre con una mostra personale a Singapore e si chiude con la monumentale esposizione “Our Trash” a La Triennale di Milano.
Opere della Collezione: Percorso tattile sensoriale
Il MACRO apre al pubblico la Sala Multisensoriale e presenta il percorso tattile permanente del Museo.
L’iniziativa rientra nell’ambito del progetto Musei da toccare, nato nel 2015, rivolta alla realizzazione di percorsi tattili-sensoriali che permettono di avvicinare le persone con diverse disabilità alla conoscenza del patrimonio artistico dei musei di Roma Capitale.
Nella Sala sono esposte tre opere della Collezione permanente del Museo – selezionate per l’esplorazione tattile dall’Ufficio Collezione – che raccontano la storia di tre artisti e dei loro diversi percorsi: San Sebastiano (1963) di Leoncillo Leonardi, Senza titolo (2005) di Domenico Bianchi e Colonna (2000) di Giovanni Albanese. Per completare la fruizione delle opere selezionate sono messe a disposizione del pubblico le schede descrittive accompagnate da informazioni storico-critiche, tradotte in L.I.S., che possono essere consultate e scaricate dal sito del Museo.
In occasione della inaugurazione della Sala Multisensoriale, è previsto un incontro in Sala Cinema per la presentazione del percorso tattile sperimentale – che prende spunto dalla mostra 100 Scialoja. Azione Pensiero organizzata al MACRO nel marzo 2015 – nato dalla collaborazione dell’Ufficio Didattica del MACRO con lo scultore Felice Tagliaferri e con tre docenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma: Gabriella Bernardini e Nicoletta Agostini, che hanno guidato un gruppo di studenti nella varie fasi del lavoro, e Cecilia Casorati, che ha affidato ad alcuni suoi allievi le riprese e l’elaborazioni video degli incontri.
Daniela Perego – Arrivederci
Project Room #1
Mostra personale dell’artista Daniela Perego, dedicata ai suoi più recenti lavori.
La ricerca artistica di Daniela Perego è da sempre impegnata nell’esplorare i delicati organismi che costituiscono la memoria collettiva e le relazioni interpersonali, intese nei diversi intrecci con il tempo, corpo e affettività, ponendo lo spettatore in bilico su un sottile filo tra percepito e immaginato. L’indagine stessa della realtà passa attraverso la messa in discussione della visione, dunque della significazione e della comunicazione. Partendo da esperienze e vissuti personali e sfruttando le molteplici possibilità dei media artistici, l’artista si confronta di continuo con le diverse manifestazioni della contingenza sino a raggiungerne l’essenza e trascenderla.
Nelle installazioni site-specific esposte in questa occasione ricorre il tema della memoria, motivo centrale nella poetica dell’artista, qui proposto in una diversa declinazione: come suggerisce lo stesso titolo della mostra, Arrivederci, Daniela Perego annuncia l’evolversi del sentire e di una volontà nuova, volta a dar voce a un tempo emotivo personale ora differente, seppur ancora in divenire. Le opere richiamano momenti diversi nell’elaborazione di esperienze personali legate a un confronto aperto con la separazione, che implica per sua stessa natura l’assenza dell’uno di fronte alla persistenza dell’esistere e della presenza dell’altro.
Segno comune delle opere in mostra è la margherita, elemento floreale che invade lo spazio e se ne impossessa, creando un monumento che, come sottolinea la stessa artista, vuole essere “omaggio alla vita”. Questa ripetizione di elementi manifesta l’incessante riproporsi dell’istante, finché ogni elemento floreale ritratto raggiunge il senso dell’eternità: in questo modo ogni alienazione, commiato e abbandono diviene un processo che si rovescia in una riappropriazione del proprio sé o di ciò che è stato.
La ricerca di Daniela Perego interroga il pubblico, coinvolgendo il vissuto di ciascuno e cercando al tempo stesso di attivare un campo emotivo condiviso. Le quattro opere installate in un unico ambiente sono manifestazioni di momenti cristallizzati nella memoria, che formano il tempo della coscienza, misurabile solo attraverso le emozioni che si sprigionano nell’interiorità del fruitore, in un tentativo di rendere il tempo reversibile.
La mostra è accompagnata dal catalogo edito da Palombi Editori realizzato grazie al contributo di Hidalgo Arte, Associazione Culturale per la promozione delle Arti Visive.
Note biografiche
Daniela Perego (Firenze, 1961) vive e lavora tra Roma e Viterbo. A partire dagli anni ’90 espone in mostre collettive e personali presso gallerie e spazi istituzionali, sia in Italia che all’estero. Ha partecipato a importanti festival e biennali d’arte. Più recentemente le sue opere sono state esposte al Castello di Rivara (Torino 2015), alla Galerie Sponte (Parigi 2014), al Museo de Arte Contemporàneo (Buenos Aires 2014), al National Centre for Contemporary Arts (Mosca 2016), al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (Prato 2011), alla Macy Gallery (New York 2009), al 60° Festival di Locarno (2007) e al Castello Colonna di Genazzano (2007).
Nanni Balestrini – La Tempesta Perfetta
Sala Bianca
L’artista Nanni Balestrini realizza una mostra-concept che prende spunto iconografico dal famosissimo quadro de “La Tempesta” di Giorgione per confrontarsi però con la nostra situazione contemporanea: culturale, sociale, economica ma anche psicologica, con all’interno appunto lo sguardo “dal passato” di Giorgione, destrutturato tramite patchwork, scomposizioni, implosioni e sovrascritture.
Parole dello stesso Balestrini che non sono però commento all’immagine ma struttura stessa dell’opera, della nuova opera, così come del resto l’autore ci ha abituato fin dagli anni Sessanta.
E le sue parole s’intrecciano ai personaggi dipinti da Giorgione ma anche alle parole della Genesi, così come a quelle di Shakespeare e/o del Canto XLV di Ezra Pound: “con usura nessuno ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / per istoriarne la facciata / (…) con usura / non si dipinge per tenersi arte / in casa, ma per vendere vendere / presto e con profitto / peccato contro natura”.
Come scrive Achille Bonito Oliva in catalogo: “L’opera di Nanni Balestrini è un’epica lotta contro la resistenza dell’arte. Ha trovato nella contaminazione tra parola e immagine un armistizio, matrimonio morganatico tra la parola scritta o stampata e l’elemento iconico. Ecco allora che Balestrini parte all’attacco e si confronta con la Tempesta del Giorgione. La rappresentazione, almeno sospettata, l’iconografia che passa attraverso l’idillio di due personaggi nella natura, un uomo e una donna con un bambino, e dietro l’annuncio della tempesta attraverso un lampo. Nella parte bassa un serpentello, rinvio iconografico alla cacciata dall’Eden. L’arte è sempre una catastrofe, una catastrofe linguistica, è la rottura dell’equilibrio tettonico del linguaggio della comunicazione corrente, il precipitato in una sorta di spazio aperto per combattere l’entropia, il progressivo silenzio verso cui si avvia il linguaggio. L’opera di Balestrini è un’opera stereofonica, sonora, è un’opera che si confronta col rumore del mondo, non attraverso il silenzio ma attraverso la contaminazione, la scomposizione. Ciò che il lampo annuncia, la tempesta, Balestrini la realizza attraverso un collage di parole e dollari strappati, una pioggia che investe il quadro del grande pittore veneto. Attraverso il dollaro, parametro mondiale del denaro e della finanza, avviene oggi la tempesta perfetta. L’arte è un massaggio del muscolo atrofizzato della sensibilità collettiva, e ciò che Giorgione ha promesso Balestrini ha mantenuto, ha prodotto una nuova conoscenza”.
Durante il periodo della mostra verrà presentato il catalogo che conterrà le foto dell’allestimento, studiato insieme all’artista, saggi critici di Achille Bonito Oliva, Michele Emmer, Patrizio Paterlini e una intervista inedita allo stesso Balestrini a cura di Claudio Crescentini e Federica Pirani.
Biografia
Nanni Balestrini (Milano 1935), scrittore e artista visivo, fin dagli anni Sessanta è stato al centro dei cambiamenti culturali nazionali. Tra gli animatori della stagione della neoavanguardia, ha fatto parte dei poeti “Novissimi” e del “Gruppo 63”. Ha esposto nel 1993 alla Biennale di Venezia, nel 2012 a Documenta di Kassel, e con personali alla Galleria Mazzoli di Modena, alla Galleria Michela Rizzo di Venezia, alla Galleria Frittelli di Firenze, al MACRO di Roma, alla Fondazione Morra di Napoli, alla Fondazione Mudima di Milano, alla Fondazione Marconi di Milano e al Museion di Bolzano. Ha partecipato alle grandi mostre collettive La parola e l’arte, MaRT Rovereto (2007); Italics, Palazzo Grassi, Venezia (2008); 1988 vent’anni prima vent’anni dopo, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato (2008); Futurismo 1909-2009, Palazzo Reale di Milano (2009); Mille e tre, Louvre, Parigi, Artissima 2010, Torino (2010); Roma Pop City 60-67, MACRO di Roma (2016). Ha realizzato la stazione Lala della metropolitana di Napoli e la stele Incipit per la biblioteca di Vignola. Insieme a Umberto Eco ha animato la rivista «alfabeta2», nuova serie della storica rivista culturale «alfabeta». È autore del romanzo multiplo elettronico Tristano, della trilogia La Grande Rivolta (Vogliamo tutto, Gli invisibili e L’editore). sulle lotte del movimento negli anni ’70; E’ appena uscito il secondo volume della sua opera omnia poetica: Le avventure della signorina Richmond (1972-1989).
I Think Art is… Briciole D’Arte – Un video di Lara Nicoli e Carlo Carfagni
Foyer
Le “pillole d’arte” o meglio “briciole d’arte” come ci ha consigliato Luigi Ontani, nascono come costola di un format di sperimentazione proposto a Rai3 nel corso dell’anno 2016. Si tratta di brevissime riflessioni sul significato di arte, che danno il titolo al video, appunto “I think art is”.
Sono ispirate a quelle che in termini giornalistico-televisivi vengono denominate “vox populi”, ovvero voci raccolte per strada interpellando i passanti e sondandone gli umori.
Le “briciole” partono quindi da una finalità divulgativa per un pubblico generalista, ma perdono man mano il presupposto di partenza e, pur mantenendo la stessa concisione delle vox – che può variare dai 20 ai 35 secondi tra botta e risposta – assumono forme diverse: teatrali, glamour, performative.
A circa sessanta – tra artisti, critici, giornalisti, scrittori, attori, galleristi, mecenati, persone comuni; da Michelangelo Pistoletto a Giosetta Fioroni, da Jannis Kounellis a Dacia Maraini, da Edoardo Albinati a Piera degli Esposti, da Marco Da Milano a Gregorio Botta, da Fabio Sargentini a Luigi Ontani, dalla giovane artista Veronica Montanino alla gallerista Viviana Guadagno, e poi Gianfranco Baruchello, Pablo Echaurren, Mario Desiati, Marco Tirelli, Kasia Smutniak, Pietro Fortuna, Ludovico Pratesi, Emmanuele Emanuele, Marco Da Milano, Giorgio De Finis, Luca Telese, Matteo Basilè, molti giovani artisti del Lanificio e studenti di accademia di belle arti ecc. – abbiamo rivolto la stessa domanda-riflessione che si è trasformata in un tormentone o anche in un testimone che viene ripetuto e passato di persona in persona: “Penso che l’arte sia…”.
A questa domanda – ed è una incredibile constatazione su cui riflettere – nessuno dà la stessa risposta, ma ciascuno suggerisce un diverso ma sempre interessante modo di concepire l’arte.
Delle sessanta, sono state scelte e montate in sequenza una rosa di risposte – nonostante l’idea iniziale fosse quella di un work in progress di continuo sostituibile ed integrabile – dando compattezza temporale ad un video che si basa formalmente sull’idea pop della ripetizione e che, nella proiezione museale a loop su schermo monocanale, si trasforma in una sorta di viatico per i visitatori che stanno per varcare la soglia ed entrare nel magico (e spesso ignoto) mondo dell’arte.
Daniele Lombardi – Ascolto Visivo
Spazio Area
Esposizione del compositore, pianista e artista visivo Daniele Lombardi. I vari lavori esposti collegano arti visive e musica, tra cui una serie di installazioni sonore, manoscritti musicali e alcuni dipinti recenti di vaste dimensioni su tela e su carta.
L’esposizione documenta varie fasi della carriera di Daniele Lombardi, a partire dall’idea di musica virtuale presentata per la prima volta dall’artista nel 1972 all’Autunno Musicale di Como con una Ipotesi di teatro meta-musicale: ogni singolo spettatore, nel silenzio fisico di una sala con esposte le sue Notazioni di fatti sonori che l’esecutore ricrea nella propria immaginazione, poteva tentare un collegamento tra le immagini esposte e le immaginazioni sonore sollecitate nella propria memoria.
La doppia formazione in studi musicali e visuali e il profondo interesse per una idea multimediale dell’arte, hanno reso Daniele Lombardi un riconosciuto protagonista nell’intrecciare l’espressione visiva a quella sonora, un artista che sperimenta modalità interattive che propongono nuove possibilità, oltre l’incomunicabilità di tanta musica contemporanea.
Biografia
Daniele Lombardi è compositore, pianista e artista visivo di grande notorietà internazionale, in particolare per quello che riguarda il suo particolarissimo repertorio legato alla musica delle avanguardie storiche degli inizi del Novecento, eseguendo in prima esecuzione moderna un grande numero di composizioni di musica futurista italiana e russa, autori come George Antheil, Leo Ornstein, Alberto Savinio, Alexandr Mossolov, Arthur Vincent Lourié. Esperto anche nella grafia musicale contemporanea e prassi, ha da sempre avuto un profondo interesse per una idea multimediale dell’arte. La doppia formazione di studi musicali e visuali lo ha posto in una dimensione che ingloba segno, gesto e suono in una sola idea di percezione molteplice, tra analogie, contrasti, stratificazioni e associazioni. In tal senso, dal 1969, ha prodotto disegni, dipinti, computer graphics, video etc. che sono frutto della transcodifica in immagini di un pensiero musicale, come una visualizzazione di energie che stanno a monte del suono stesso, come potenziale divenire. Presente in numerose importanti sedi concertistiche e festivals come il Maggio Musicale Fiorentino, la Biennale Musica di Venezia etc. ha suonato in varie parti del mondo, anche per svariate emittenti radiofoniche e televisive e ha pubblicato numerosi CD musicali. Ha diretto per alcuni anni a Roma il festival Nuova Musica Italiana e Nuova Musica Internazionale (Coop. La Musica, RAI); ha fondato e diretto con Bruno Nicolai la rivista di musica contemporanea 1985 La Musica e si è occupato anche delle linee di programmazione artistica della Casa Editrice Musicale Edipan. Numerosi musei e istituzioni pubbliche e private hanno ospitato sue installazioni mediali, fra questi ricordiamo: Londra, I.C.A. Institut of Contemporary Arts, 1992; Parigi, Istituto Italiano di Cultura, Hotel de Galiffet, 1993; Cairo, Centro delle Arti Zamalek, 1996; Milano, Fondazione Mudima, 1997; Pistoia, Museo Fabroni, 1998; Prato, Museo Pecci, 1998; Los Angeles, IIC Spazio Italia, 2000; Roma, MLAC Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Roma Università della Sapienza, 2006; Firenze, Giardino di Boboli, 2006; Milano, Fondazione Mudima, 2007; Firenze, Palazzo Pitti, 2013.
Gea Casolaro – Con lo sguardo dell’altro
Project room #1, #2 e Biblioteca
La più ampia personale finora dedicata all’artista romana Gea Casolaro, che dal 2009 si divide tra Roma e Parigi. Il titolo della mostra rivela uno dei temi più cari all’artista, quello dell’importanza dello sguardo altrui nella costruzione della propria opera, così come nella visione dell’arte e della vita in generale.
Gea Casolaro mette in atto questa riflessione attraverso differenti modalità formali, che mirano a raggiungere un medesimo obiettivo: dimostrare la necessaria rimessa in discussione del punto di vista soggettivo, a favore di una visione collettiva e comunque più ampia e complessa della realtà. Emblematico in tal senso è il manifesto A cosa starà pensando la persona accanto a te? (2008) che insieme ad altri poster d’artista fu proposto nelle strade di Bologna alla riflessione dei passanti e che Casolaro significativamente ripropone quale incipit della mostra.
Analogamente, con la serie South, lo spettatore è obbligato a rimettere in discussione la percezione del paesaggio e, al tempo stesso, la propria posizione sulla mappa del mondo. Una serie di bellissimi paesaggi esposti sotto sopra induce a riflettere sulla visione tipicamente occidentale del sud del mondo e sul conseguente indotto di pregiudizi e stereotipi.
Nella serie Sharing Gazes, realizzato con un gruppo di studenti della School of Fine Arts di Addis Abeba, Casolaro si sofferma sulle trasformazioni e contraddizioni dell’avanzare della modernità nella capitale africana. Il progetto esalta il processo creativo collettivo posto in essere da Casolaro, un processo fondato sulla condivisione dell’esperienza visuale di uno spazio e soprattutto sullo scambio dei punti di vista.
Still here, progetto seminale dell’esperienza artistica e personale avviatasi con il trasferimento a Parigi, si basa sulle relazioni tra cinema e realtà quotidiana, tra memoria e identità nelle vie della capitale transalpina. L’artista utilizza lo sguardo fissato in precedenza dai registi sulla Ville Lumière. Attraverso la visione di centinaia di film girati nella capitale francese, a cui si alternano ampi percorsi a piedi in lungo e in largo per i quartieri parigini, Casolaro ha creato la propria memoria di quei luoghi, dotandosi di ricordi non vissuti direttamente ma interiorizzati attraverso le storie dei personaggi dei film, attraverso la visione dei loro autori.
Si torna invece al 2003 con il progetto Doppio sguardo, una installazione composta da una serie di fotografie e un video realizzati lungo Calle Florida, la principale strada pedonale di Buenos Aires, all’indomani della terribile crisi economica che sconvolse l’Argentina. Il video è girato in un unico piano-sequenza e fornisce una visione completa ma estremamente rapida di tutto ciò che accade intorno, mentre le foto offrono, al contrario, vari dettagli e spunti di riflessione pur mostrando solo piccole porzioni di paesaggio.
Ancor prima, nel 2001, Gea Casolaro ha operato, attraverso la serie Ricordando… – rappresentata in mostra dal monumentale Ricordando Rousseau – un corto circuito spazio-temporale in cui l’influenza dello sguardo nella quotidianità si va intrecciando con la storia dell’arte e con le tracce che essa lascia nella mente di chi la frequenta, tanto profonde da diventare inevitabili quanto involontarie proiezioni sulla realtà che ci circonda.
Casolaro non cela mai il coinvolgimento del suo personale sguardo, seppure considerato valido quanto quello di qualunque altra persona, non si nasconde dietro la macchina fotografica, anzi accetta le sue responsabilità di artista. Questo coinvolgimento personale traspare da tutta la sua opera, ma diventa ancor più evidente in On the time line (2011), autoritratto in cui l’artista si propone di spalle nella medesima posizione delle figure dipinte nel quadro che lei stessa sta guardando La reproduction interdite di René Magritte, divenendo così parte dell’opera stessa.
In ognuna delle opere selezionate per la mostra, Gea Casolaro sottolinea l’importanza della messa in dialogo dei punti di vista tra persone, storie, tempi e culture, per potenziare le nostre capacità di analisi delle immagini, della società e della realtà, in cui ogni frammento, ogni individuo è importante per la sua complementarietà con il resto del mondo.
È con questa chiave interpretativa che vanno lette anche le altre opere, i video e il materiale documentario in mostra, come la serie di foto (corredate da un testo) intitolate Autoritratti infiniti (1999), un lavoro nato come autoritratto d’artista per la rivista Artel dove Casolaro ha fatto in modo che in ogni foto ci sia sempre qualcuno che guarda direttamente “in macchina” e quindi, come negli antichi ritratti rinascimentali, direttamente negli occhi di chi guarda, fotografo o spettatore che sia. O ancora, il video Il popolo del castello, significativamente dedicato a Franca Viola, e i due video Fuori da qui – Rebibbia femminile (2005) e Fuori da qui – Rebibbia maschile (2006) dove Gea Casolaro, incontrando le detenute e i detenuti della casa circondariale romana di Rebibbia, ha lavorato insieme a loro con testi, disegni e fotografie per riflettere sulla possibile rappresentazione del “fuori” visto da dentro il carcere.
A completamento della mostra, oltre ad una selezione di cataloghi a disposizione del visitatore nelle apposite cassettiere da esposizione, Gea Casolaro alterna materiale di documentazione con ulteriori opere (Percorsi identitari (2008); Mille storie, una lotta immagine utilizzata per la tessera CGIL del 2010; You are here (and we are stilll here too) del 2008-2009; Cartoline personali, 2003; To feel at home, 2002; Regards tempora ires sur Paris (2014).
Artisti in Residenza – Studi Aperti: Marco Gobbi e Francesca Ferreri
Studio #3 e #4
Aperti al pubblico gli studi degli artisti vincitori del bando “Artisti in Residenza” 2016: Francesca Ferreri e Marco Gobbi. Sarà possibile visitare gli spazi e assistere al lavoro in corso di svolgimento.
Con il progetto “Artisti in residenza” il MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma si conferma importante centro di produzione artistica, consolidando la propria attenzione alla scoperta e alla promozione dei nuovi talenti.
Ogni anno, su iniziativa promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, il MACRO sviluppa due residenze d’artista selezionate da un comitato di esperti tramite bando pubblico emanato da Zètema Progetto Cultura.
Durante i cinque mesi di residenza presso la sede di via Nizza del museo, tra l’1 marzo e il 31 luglio 2017, ciascun artista ha a disposizione uno studio – per la durata di due mesi – e di un alloggio – per sei mesi – che, oltre a essere il luogo di lavoro dove gli artisti vincitori realizzeranno i propri progetti, diventa anche luogo d’incontro con curatori, critici, operatori del settore.
Francesca Ferreri, nata a Savigliano (CN) nel 1981 e residente a Torino, presenta al MACRO il progetto Playing fragments, che prende in considerazione il parallelo fra l’approccio archeologico e la pratica artistica. Come l’archeologo, l’artista è costantemente alla ricerca di quell’attimo di sorpresa, che si manifesta a seguito di una scoperta inaspettata: un avvenimento che permette di comprendere meglio l’uomo nel presente e utilizzare le informazioni recuperate dal sottosuolo nel futuro. Partendo dall’assemblaggio di oggetti trovati, oggetti di uso comune, deodoranti, giocattoli o suppellettili, Ferreri colmar i ‘vuoti’ saturandoli con gesso pigmentato, come se si trattasse di un’accelerazione di deposito. Colmata la lacuna, gli oggetti di partenza e la materia di connessione sono così stabilmente uniti in una formazione quasi fossile.
Il lavoro scultoreo sarà accompagnato da uno studio delle grottesche della Domus Aurea di Nerone, che Ferreri considera uno dei primi esempi di operazione artistica site-specific: ogni figura all’interno della grottesca, infatti, occupa uno spazio predeterminato ed è proprio quella porzione di spazio a ‘condizionare’ la forma e le sembianze di ogni soggetto.
Il lavoro di Marco Gobbi, nato a Brescia (BS) nel 1985 vive tra Venezia e Francoforte, inizia da un mero interesse per un materiale, una storia, un oggetto, da cui l’artista è attratto spesso perché uno spazio è vuoto, manca un tassello o vi è la possibilità di nuove connessioni. Attraverso queste mancanze Gobbi si avvicina all’oggetto, riduce la mancanza che ci separa da esso, dando una forma riconoscibile a quel sentore di assenza, di incompleto.
Il progetto presentato al MACRO rappresenta una nuova fase di una ricerca dedicata ai palazzi storici di Venezia, di cui l’artista indaga le superfici erose dall’acqua. A seguito della realizzazione di un calco attraverso la tecnica del frottage, Gobbi riproduce a merletto il disegno, servendosi di alcuni punti di cucitura ad ago chiamati Sacolà, Greco e punto Burano, tipici dell’isola di Burano.
Nella seconda fase della residenza, l’artista lavorerà sulla possibile connessione tra la città di Venezia e la leggendaria di Atlantide (anch’essa costruita sull’acqua) usando una tecnica semi artigianale utilizzata nelle zone balneari per la creazione di souvenir: attraverso la frapposizione di strati di sabbia colorati all’interno di contenitori trasparenti, Gobbi formerà i simboli legati al mito della città di Atlantide.
Alfredo Pirri – i pesci non portano fucili
MACRO Testaccio
Padiglione 9B
Prima antologica dedicata ad Alfredo Pirri, artista nato a Cosenza nel 1957 e che vive e lavora a Roma ormai da molti anni. Il suo lavoro spazia tra pittura, scultura, lavori su carta e opere ambientali.
Quella del Macro Testaccio rappresenta la tappa conclusiva del progetto I pesci non portano fucili, un viaggio all’interno dell’opera, del pensiero e della ricerca dell’artista che è iniziato nel novembre 2016 con la prima mostra RWD / FWD, allestita presso lo Studio/Archivio dell’artista. Il titolo del progetto è stato scelto dallo stesso Pirri in omaggio all’opera The Divine Invasion di Philip K. Dick (1981), in cui l’autore immagina una società disarmata e fluida come il mare aperto dentro il quale immergersi e riemergere dando forma ad avvenimenti multiformi. Tutto il progetto viene proposto come un nuovo possibile modello di rete culturale, fortemente sostenuto da Pirri, in cui ogni istituzione coinvolta è autonoma ma in costante dialogo con le altre.
L’esposizione riunisce 50 opere tra le più importanti e significative realizzate dall’artista nel corso della sua carriera dagli anni ‘80 ad oggi, sottolineando l’alternarsi ritmico di fluidità e fissità, dove i repentini mutamenti di tecnica diventano allegoria di un tempo mentale, scandito dagli elementi che da sempre contraddistinguono la ricerca dell’artista: lo spazio, il colore e la luce.
“Questa mostra, come afferma il curatore Ludovico Pratesi, permette una lettura completa e ragionata della complessità della ricerca di Alfredo Pirri, attraverso un itinerario espositivo strutturato come un’opera in sé. Lo spazio del Macro Testaccio viene interpretato dall’artista in maniera da sottolineare le componenti fondamentali del suo pensiero, per invitare il visitatore a condividere un’esperienza immersiva giocata sull’armonia tra spazio, luce e colore”.
La mostra si snoda attraverso un percorso articolato in cui il tema della città, intesa non solo come agglomerato urbano ma come spazio aperto, luogo di condivisione e di incontro, è declinato in varie sfaccettature, attraverso una profonda rielaborazione dello spazio architettonico stesso e qui diviso in due sezioni principali.
Apre la mostra l’opera che l’artista ha realizzato nei mesi di ricerca all’interno del laboratorio allestito alla Nomas Foundation: Quello che avanza (2017), prosecuzione dello studio sulla luce e il colore che da sempre caratterizza la sua poetica. Costituito da 144 stampe, il lavoro è frutto di una ricerca sulla tecnica della cianotipia, che consente di realizzare immagini fotografiche off-camera di grandi dimensioni, caratterizzate da intense variazioni di blu. Di queste stampe, 130 testimoniano le fasi di lavorazione di un’opera e i residui da essa prodotti, mentre 14 sono il risultato di una procedura unica, che vede l’uso di piume appoggiate direttamente a impressionare i fogli preparati con sostanze chimiche ed esposti ai raggi UV.
Tra le altre opere scelte, Gas (1990), lavoro che combina elementi concettuali e minimalisti, capace già nel titolo, di evocare una materia invisibile che attraversa e riempie lo spazio circostante; le Squadre plastiche (1987-88), con la loro immobilità di testimoni mute e contemporaneamente la loro pittura che si riverbera sulla parete come energia viva; Verso N (2003), installazione in cui i frammenti costruiscono un orizzonte immaginario, un paesaggio spirituale attraversato da fasci di luce che si irradiano nello spazio riflettendo i colori della pittura; La stanza di Penna (1999), costituita da copertine di libro disposte in modo da creare uno skyline urbano, paesaggio bagnato da una luce diffusa che ricorda i colori del tramonto.
A fare da raccordo tra le due sezioni l’opera Passi, che assume la valenza di una soglia. Si tratta di un’installazione site specific costituita da pavimenti di specchi che si frantumano sotto i passi dell’artista e dell’osservatore, creando narrazioni deformate che promuovono un dialogo dialettico con lo spazio circostante, la sua natura e la sua storia.
Come spiega la curatrice Benedetta Carpi de Resmini: “Alfredo Pirri ha sperimentato negli anni molteplici linguaggi espressivi spaziando dalla pittura alla scultura, dal video alla performance, ma è soprattutto la sua concezione del rapporto spazio – temporale, mediato dal lavoro che genera l’opera, che si presenta allo spettatore come una palingenesi: una nuova visione della realtà e della città. Lo spazio architettonico si trasforma così in supporto-tela su cui Pirri “dipinge” vuoti e pieni, luci e ombre, in una meditata metamorfosi che ne esalta i valori cromatici, concettuali e simbolici “.
Alfredo Pirri è nato a Cosenza nel 1957 ma vive e lavora a Roma ormai da molti anni. Il suo lavoro spazia tra pittura, scultura, lavori su carta e opere ambientali. Il suo linguaggio evidenzia una continua attenzione allo spazio, alla superficie, al colore, creando dei veri e propri ambienti di luce. Ogni opera diventa un luogo spaziale, emozionale e temporale, dove l’osservatore ha la possibilità di entrare per immergersi in esperienze cromatiche che lo destabilizzano e lo disorientano. Collabora con architetti per la realizzazione di progetti multidisciplinari, in cui arte e architettura dialogano in modo armonico.
A corredo dell’intero progetto sarà pubblicato un catalogo edito da Quodlibet con testi inediti di: Benedetta Carpi De Resmini, Maria Vittoria Marini Clarelli, Ilaria Gianni, Soko Phay, Ludovico Pratesi, Paola Tognon, Stefano Velotti e una conversazione tra Hou Hanru e Alfredo Pirri.
Pietro Fortuna – S.I.L.O.S
Padiglione A
Il progetto vuole ricostruire il percorso dell’artista, nato a Padova nel 1950 e residente tra Roma e Bruxelles, proponendo una lettura antologica di temi e modalità fondanti del suo lavoro. Non si tratta di una rassegna cronologica, ma di un osservatorio che mette in luce come per Pietro Fortuna il processo e l’ideazione siano sempre stati preminenti rispetto all’esito.
Nel ciclo di opere esposte (raccolte sotto il titolo di S.I.L.O.S, del 2017, tutte realizzate appositamente per questa occasione) si condensa il senso del fare come prassi e come nucleo teorico, come rivendicazione di autonomia, come possibilità, e diritto, dell’arte a essere improduttiva.
“L’arte è profezia e non previsione”, dichiara l’artista, e tutto quello che accade rispetto all’opera accade senza progetto (cioè senza un sentimento di attesa rispetto a un compimento futuro), nel suo manifestarsi come forma del divenire: senza quel finalismo che caratterizza la produzione, non solo culturale, contemporanea. Come scriveva nel 1995 Rocco Ronchi, a proposito del lavoro di Fortuna, è “a questa loro sorprendente indipendenza dal tempo che tali forme del fare devono quel loro senso di quiete, di perfezione e di inutilità che infondono nell’osservatore”.
L’umanesimo di Fortuna si distanzia da quell’individualismo che si realizza nella dialettica tra interrogazione privilegiata e risposte necessarie. Forse in questo si trovano le ragioni del suo pensiero: il fare coincide con il tempo e lo spazio per una cerimonia più vicina alla vita, a come questa si mostra. “Il fare, qui come altrove,” scrive ancora Ronchi “è un gesto compiuto che non domanda nulla al tempo, pur impiegandolo.”
Pietro Fortuna nasce a Padova nel 1950 e vive tra Roma e Bruxelles. Studia architettura e filosofia e ancora giovanissimo collabora a importanti realizzazioni sceniche per il San Carlo di Napoli, La Scala di Milano e la Fenice di Venezia.
Negli anni ‘80 è presente alla XVI Biennale di San Paolo, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, a Ville Arson a Nizza, al Kunstler House a Graz, al Frankfurter Kunstverein, alla XII Biennale di Parigi. Negli anni ’90 realizza nuovi cicli di opere con installazioni e lavori di grande formato con cui è presente al Palais de Glace di Buenos Aires, alla Galleria d’Arte Moderna di San Marino, al Museo d’Arte Moderna di Bogotà, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, a Le Carré Musée Bonnat di Bayonne e al Museo Pecci di Prato. Negli stessi anni fonda Opera Paese un luogo per la cultura in cui s’incontrano importanti figure dell’arte, della musica, e del pensiero, da Philip Glass a Jan Fabre, da Pistoletto a Kounellis, da Carlo Sini a Kankeli. Negli ultimi anni seguono altre personali al Watertoren Centre for Contemporary Art di Vlissingen, alla XII Biennale Internazionale della Scultura di Carrara, al Tramway di Glasgow, alla Fondazione Morra di Napoli, al Macro di Roma, al Marca di Catanzaro, alla Quadriennale di Roma e alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Muri Socchiusi – Laura Federici, Camelia Mirescu, Pax Paloscia
Spazio uscita Sala Bianca
Progetto proiettivo della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, MACRO, della Direzione Casa Circondariale “Regina Coeli” in collaborazione con VO.RE.CO – VOlontari REgina COeli e con Shakespeare and Company2, a cura di Claudio Crescentini.
Video, frames e fotografie narrano gli interventi artistici realizzati, a partire da marzo 2016, sulle pareti interne di “Regina Coeli”, che, per la prima volta si apre all’arte, grazie all’operatività e la creatività di tre artiste fotografe e video-maker Laura Federici, Camelia Mirescu e Pax Paloscia e di alcuni detenuti del carcere.
Laura Federici vive e lavora a Roma. Ha all’attivo numerose personali fra cui, fra le più recenti, quelle alla Galleria Beit Ahmad (Aleppo / Siria 2005), alla Galleria Il Segno (Roma 2007), alla Galleria l’Affiche (Milano 2008; 2011) alla Gallerie Brieve (Parigi 2014), alla Galleria Andrè (Roma 2011; 2012; 2016). Nell’ambito della produzione di video, tecnica che spesso riveste un ruolo centrale anche nella sua produzione pittorica, si ricordano le 12 sequenze animate per Un amore di Gianluca Tavarelli (1999), vincitore del N.I.C.E. Film Festival New York. Il suo lavoro – grandi tavole a olio, video, interventi pittorici su fotografia – è quindi caratterizzato da linguaggi diversi e incentrato sulle declinazioni di una peculiare modalità operativa che, muovendosi in una zona di confine fra pittura e registrazione meccanica della realtà, dà vita – sull’onda di un incessante moto à rebours nei tempi del proprio vissuto – a una costellazione di opere che dialogano fra loro in un continuo gioco di stratificazioni di memoria e visioni.
Camelia Mirescu, artista d’origine rumena ma di cultura e preparazione cosmopolita, vive e lavora a Roma dal 1990. Personalità artistica molto poliedrica, riconsegna al pubblico la propria ricerca poetica utilizzando e sperimentando numerosi media culturali, dalla pittura e ceramica alla fotografia e video art, passando per la scrittura dei suoi pensieri, tra narrativa e saggistica. Il tutto sempre abbinato ad un alto potenziale espressivo e culturale, colto e profondo. Le sue opere sono state presentate in numerosi eventi internazionali di prestigio, fra i quali e fra i più recenti si ricordano: Sfogliando l’anima, Accademia di Romania, Roma 2009; Le Trasparenze del gesto, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica, Venezia 2005; Couleurs intimes, Institut Culturel Roumain, Parigi 2004; Le forme degli istanti, Palazzo Valentini, Roma 2003. Ha preso parte al contest di Egosuperegoalterego. Volto e corpo contemporaneo dell’arte, MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma, 2015-16. Sua ultima personale Trasmigrazioni emotive, presso l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica, Palazzo Correr, Venezia 2016.
Pax Paloscia vive e lavora tra Roma e New York. Particolarmente influenzata dalla cultura di strada e dal mondo dei giovani – KIDS – intesi come metafora della condizione umana, l’arte di Pax Paloscia è scardinata da una continua contaminazione di linguaggi che vanno dalla fotografia al video, alla pittura. La sua formazione nasce nell’ambito delle arti grafiche e della pubblicità. Ha lavorato, infatti, per diversi anni a Milano collaborando con le più note agenzie pubblicitarie e case editrici. Le sue collaborazioni comprendono: Rolling Stone, Urban, Sole24Ore, Feltrinelli, Enaudi, McCann Erickson, Saatchi e Saatchi, J. W. Thompson, Publicis, Ogilvy, IBM, Nike, Mazda, Omnitel, EMI, Findus, Levi’s, Fnac, Mandarina Duck, etc. Nel 2007 si trasferisce a NYC dove si diploma all’International Center of photography. Il suo primo libro-manifesto “Let the KIDS Play” (Drago ed.). Numerose le gallerie dove ha esposto, fra le quali: White Noise Gallery, Roma; Temple University Gallery, Roma; Edward Cutler Gallery, Milano; International Center of Photography, NYC; New York PHOTO Festival. NYC; Museum der Dinge, Berlino; Addict Gallery, ParigiSuperplan, Berlino; Helmet Gallery, Monaco; Espace Beaurepaire, Parigi.
FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma XV edizione: ROMA, IL MONDO
XV edizione di FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, organizzato da Zètema Progetto Cultura, con la direzione artistica di Marco Delogu e co-curatore Alessandro Dandini de Sylva
Sala Bianca, Studio #1 e #2, Foyer
L’esposizione, che, come di consueto, ospita fotografi di fama internazionale e offre una ricognizione importante sullo stato della fotografia contemporanea, quest’anno è interamente dedicata alla città di Roma con il tema centrale “Roma, il mondo”, scelto nel duecentesimo anniversario della pubblicazione del primo volume di Viaggio in Italia di Goethe, per sottolineare come Roma voglia ancora con tutte le forze essere un grande crocevia d’incontro della cultura internazionale attraverso l’arte fotografica (quest’anno la Commissione Roma è stata affidata a 4 fotografi internazionali) nell’unica città al mondo che, eredità del “Grand Tour”, ha un sistema di accademie di cultura estere che sempre collaborano con il festival.
LA MOSTRA COLLETTIVA
Nella grande mostra collettiva principale, a cura di Marco Delogu, sono confluiti i lavori di tutti i fotografi delle passate edizioni della “Rome Commission”: Josef Koudelka, Olivo Barbieri, Anders Petersen, Martin Parr, Graciela Iturbide, Gabriele Basilico, Guy Tillim, Tod Papageorge, Alec Soth, Paolo Ventura, Tim Davis, Paolo Pellegrin, Hans Christian Schink e lo stesso Marco Delogu).
Si aggiungono i lavori della XIV edizione della Commissione Roma affidata quest’anno a: Roger Ballen, Jon Rafman, Simon Roberts, Leo Rubinfien.
LE ALTRE MOSTRE
Pino Musi “Opus”
Il lavoro “Opus” è composto da una serie di tredici fotografie in successione lineare che prende in considerazione molteplici aspetti della sapienza costruttiva ed architettonica nell’antica Roma.
Alfred Seiland “Imperium Romanum”
L’autore ha esplorato e fotografato una serie di luoghi – dai paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo fino a quelli del Nord Europa e oltre – dove sopravvive, o rivive, l’idea dell’Antica Roma.
Martin Bogren “Rome, portraits”
Le sue foto-documento, catturate durante lunghe passeggiate fatte la mattina presto o la sera tardi, offrono un universo personale e poetico dove spazio e tempo sono sempre subordinati all’incontro con un altro essere umano.
Pier Paolo Pasolini
Una raccolta fotografica dedicata a Pasolini dalla collezione privata di Giuseppe Garrera e in un allestimento a cura di Alessandro Dandini de Sylva. La mostra raccoglie un gruppo di fotografie inedite che indagano il denso ed eccezionale rapporto di grandi fotografi con il volto e il corpo di Pasolini (William Klein, Ugo Mulas, Mario Dondero, Tazio Secchiaroli, Mario Tursi, Dino Pedriali e molti altri).
Kate Steciw & Letha Wilson “Fold and unfold”
Le due artiste americane Letha Wilson e Kate Steciw oltrepassano i confini tradizionali della fotografia, liberando l’immagine fotografica dai limiti della bidimensionalità.
Muri Socchiusi
Progetto proiettivo della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, MACRO, della Direzione Casa Circondariale “Regina Coeli” in collaborazione con VO.RE.CO – VOlontari REgina COeli e con Shakespeare and Company2, a cura di Claudio Crescentini. Video, frames e fotografie narrano gli interventi artistici realizzati, a partire da marzo 2016, sulle pareti interne di “Regina Coeli”, che, per la prima volta si apre all’arte, grazie all’operatività e la creatività di tre artiste fotografe e video-maker Laura Federici, Camelia Mirescu e Pax Paloscia e di alcuni detenuti del carcere.
Carlo Gianferro, Tommaso Ausili “Jubilee people”
Come i pittori alla Pompeo Batoni della Roma di Sette e Ottocento lavoravano per immortalare i turisti del Grand Tour, così Carlo Gianferro e Tommaso Ausili realizzano oggi una storia visiva del Grande Viaggio e dei suoi protagonisti. Nel loro progetto “Jubilee People”, ritraggono i pellegrini che sono passati durante l’ultimo Giubileo.
Daniele Molajoli e Flavio Scollo “Distruzione / Ricostruzione”
In collaborazione con Poste Italiane e il Circolo – Italian Cultural Association London, la XV edizione di FOTOGRAFIA Festival Internazionale presenta un importante progetto dedicato alla raccolta fondi – tramite il sito del festival ed altre iniziative – per il restauro di alcuni beni storico-artistici di Amatrice e delle altre zone colpite dal sisma dello scorso agosto.
I borghi medievali, le chiese affrescate e gli edifici storici oggi sono in gran parte ridotti ad un cumulo di macerie ed è doveroso pensare anche alla ricostruzione di questi luoghi. La mostra propone un reportage ricco di fotografie inedite che racconta la storia dei luoghi danneggiati, creando una sorta di mappatura dei più importanti beni storici e culturali danneggiati o distrutti dal terremoto. Una prima parte del progetto (per rispetto dell’emergenza umanitaria) è stato svolto in Val Nerina, nella provincia di Norcia, e la seconda parte coinvolgerà invece i comuni di Amatrice, Accumuli ed Arquata del Tronto.
PREMI E CALL
A corollario delle mostre principali, prosegue l’impegno del Festival nella promozione di giovani talenti e nuovi linguaggi fotografici con i numerosi premi e call: Open Call for Artists, Premio Graziadei per FOTOGRAFIA, e Premio IILA.
ACCADEMIE DI CULTURA STRANIERE
Oltre alla collaborazione con il British Council e con l’Istituto Italiano Latino Americano, il festival consolida le sue relazioni internazionali accogliendo anche quest’anno nel suo programma, come prestigiose esposizioni collaterali, le mostre fotografiche ospitate da importanti Accademie di Cultura straniere come l’Accademia Tedesca di Villa Massimo e l’American Academy in Rome.
I TALK
Anche per questa edizione, al MACRO sono pevisti incontri e talk rivolti al pubblico.
Arte e Politica. Opere dalla Collezione #4
Sale Collezione
Il quarto appuntamento del ciclo di mostre che intende valorizzare la collezione permanente del MACRO, esposta a rotazione nelle sale museali, presenta una selezione di opere legate al tema dell’impegno politico, sociale e civile.
A partire dalle demolizioni operate dal regime fascista a Roma negli anni Trenta e immortalate da celebri dipinti di Mario Mafai e della Scuola Romana, passando per la cronaca delle manifestazioni di piazza, evocate dal Comizio di Giulio Turcato, il percorso della mostra giunge alle riflessioni più recenti, in cui gli artisti contemporanei maturano un atteggiamento più disincantato nei confronti dei fatti socio-politici.
Come nell’opera Punizioni di Maurizio Cattelan (unico prestito da collezione privata), che ha raccolto una serie di fogli su cui dei giovani studenti hanno scritto, a mo’ di penitenza, la frase “Fare la lotta in classe è pericoloso”: l’artista, come fosse un maestro, ha corretto con la penna rossa ciascuna frase trasformando l’affermazione in “Fare la lotta di classe è pericoloso”. Questo lavoro è lo specchio del rapporto più distaccato che gli artisti hanno costruito con il proprio tempo.
Gli echi delle lezioni sulla rivoluzione tenute da Joseph Beuys – presente in mostra grazie a due fotografie di Mimmo Jodice – e registrate sulle sue lavagne, si avvertono nella ricerca che da tempo Alfredo Jaar conduce sulle orme di Antonio Gramsci a Roma, dove è stato realizzato il suo light-box in mostra.
La fiducia di Kendel Geers negli ideali politici, affermata dalla sua scritta al neon Believe fotografata da Claudio Abate, si contrappone alle saracinesche ormai senza peso di Perino & Vele, tra i più ironici artisti italiani delle ultime generazioni. Sul suo solco si colloca il ritratto di famiglia di Adrian Paci, che ha trasformato in opera il proprio accidentato percorso di immigrazione dall’Albania all’Italia. Più sofisticati gli sguardi di Felice Levini, del quale sarà riallestita Italia per incognita, e di Alberto Zanazzo, che riflette sul sacrificio umano di Auschwitz attraverso una composizione geometrica concettuale.
Dal tocco delicato e intenso dell’opera di Michal Rovner alla memoria indagata da Fabio Mauri, fino alla raffinata denuncia sociale di Pascale Marthine Tayou, la mostra affronterà anche l’impegno “politico” di Carla Accardi e l’attenzione ai drammi ecologici di Ines Fontenla, fino all’utopia di un museo della memoria palestinese di Khalil Rabah. Fuori dal coro, come spesso accade, la voce di Nico Vascellari, di cui risuonerà idealmente l’eco della performance Cuckoo, le cui tracce risiedono nella scultura presente al MACRO.
Elenco degli artisti in mostra: Claudio Abate, Carla Accardi, Maurizio Cattelan, Ines Fontenla, Alfredo Jaar, Mimmo Jodice, Felice Levini, Mario Mafai, Fabio Mauri, Adrian Paci, Perino&Vele, Khalil Rabah, Michal Rovner, Pascale Marthine Tayou, Giulio Turcato, Nico Vascellari, Alberto Zanazzo.
Laboratorio Prampolini. Disegni schizzi bozzetti progetti e carte oltre il Futurismo – Sezione: I documenti dell’Archivio Prampolini
Biblioteca
Esposti oltre 150 documenti provenienti dall’Archivio Prampolini, donato nel 1992 dagli eredi dell’artista al Comune di Roma e conservato presso il Centro Ricerca e Documentazione Arti Visive (CRDAV) del MACRO.
L’archivio custodisce una cospicua raccolta documentale relativa ai molteplici campi di attività di Prampolini: dal teatro alla scenografia, dalla riflessione teorica alla produzione di scritti e manifesti, dalla partecipazione e organizzazione di mostre al ruolo svolto come promotore e organizzatore culturale, dall’attività di critico all’insegnamento. Molte le lettere che testimoniano i contatti di Prampolini con numerosi esponenti della cultura italiana ed estera.
Le carte in mostra, appunti, schizzi, note e minute, in gran parte inedite, sono suddivise in cinque sezioni: Prampolini teorico e disegnatore: testi, schizzi, bozzetti e grafica – Nel teatro e nella scenografia di Prampolini – Picasso (ri)visto da Prampolini – Lettere e cartoline dall’arte – Prampolini e Capri.