ERIC FISCHL
About Wolfgang Stoerchle
2020
La mostra dedicata all’artista Wolfgang Stoerchle inaugura la sezione ARITMICI del museo. Nel 1970 Allan Kaprow reclutò Stoerchle come insegnante del programma di Post-Studio Art del CalArts, il California Institute of the Arts, insieme a John Baldessari, Judy Chicago, David Salle e molti altri. Incoraggiato da Nam June Paik, che in quel periodo insegnava al CalArts, Stoerchle iniziò a sperimentare con il video.
Per il MACRO, l’editrice e curatrice Alice Dusapin ha contattato un suo ex studente, il pittore Eric Fischl, invitandolo a raccontare i suoi ricordi di Wolfgang Stoerchle.
Su Wolfgang Stoerchle, Eric Fischl, 8 febbraio 2022
Cara Alice,
Stamattina pensavo a Wolfgang e a quando mi ha raccontato che a 17 anni lui e suo fratello maggiore sono sbarcati a New York, hanno comprato due cavalli e sono partiti per attraversare l’America. Ricordo di aver pensato, quando mi ha raccontato la storia, quanto fosse tedesca; quanto fosse assurdamente romantica e ironica. L’idea della rievocazione e la disciplina fisica necessaria per collegarsi a un’America che non esisteva da nessuna parte se non nella nostalgia retrò del cinema e dei romanzi, sembra un aspetto della sua arte e del suo carattere che Wolfgang avrebbe compreso solo dieci anni più tardi.
Quando l’ho conosciuto ero uno studente della Cal Arts: una scuola fondata da Walt Disney, un altro pioniere che aveva intrapreso il suo viaggio verso ovest attraversando l’America. Sebbene fossi un pittore, la scuola era intenzionata a spingere tutti i suoi studenti a superare le arti “morte”. Così decisi di cimentarmi nel video, che era il corso che Wolfgang teneva all’epoca. Feci un breve lavoro in bianco e nero, girato sul retro della porta della mia cucina, che incorniciava un portico di cemento e una ringhiera d’acciaio. La composizione era molto piatta, geometrica e astratta. La videocamera registrava pazientemente la propria irrilevanza. Lentamente e silenziosamente, dopo che per molto tempo non accadde nulla, un frutto arancione comparve improvvisamente rotolando sulla scalinata, seguito da un altro e poi da un altro ancora. Wolfgang amava questo pezzo e in quel momento non capivo perché. Avevo fatto qualcosa di ridicolo, qualcosa apparentemente senza alcun significato, assurdo e sfacciato. Per me non era arte. Era fugace, superfluo, era un grande vaffanculo a coloro che volevano che io fossi qualcun altro. Solo in retrospettiva ho capito che lui amava il mio pezzo proprio per queste ragioni, perché la sua arte consisteva proprio in questo. Il lavoro di Wolfgang poteva creare un’imbarazzante immobilità in attesa di un evento inaspettato. Accettava il fallimento e il futile come contenuti legittimi per l’arte. Mi ha sempre stupito come potesse creare un’esperienza indelebile partendo da qualcosa che dovrebbe essere trascurabile.
Dall’arte di quest’uomo ho imparato molto sulla vita e, in fin dei conti, non è questo uno degli scopi dell’arte?